Da lì all'eternità.

di Tyrone Power  (traduzione e adattamento di L. Pavese)

“Da qui all’ eternità” era il titolo di un famoso film, che si svolgeva nel teatro bellico del Pacifico, durante la seconda guerra mondiale. Da lì all’ eternità, nel senso che c' è mancato poco, invece è quello che probabilmente Tyrone, (o Tyron) Power deve aver pensato, tutte le volte che gli tornava in mente l’ esperienza terrificante che narra in questo breve articoletto, apparso sul numero di maggio del 1949 della rivista Flying.

Buona lettura.


Tyron Power e Gene Tierney in un momento meno stressante



Quando penso a Saipan, penso al Corpo dei Marines e al Curtiss C-46 col quale navigai, in giro per il Pacifico, durante la Seconda Guerra mondiale. E tutte le volte che m’infilo in un abitacolo, rivivo quei trenta secondi infernali che ho passato una mattina a Saipan, partendo per una ordinaria missione di routine. Trenta secondi tremendi, che però mi hanno impartito una lezione di volo fondamentale, che non voglio mai più dimenticare.






Durante la guerra, settimana dopo settimana e mese dopo mese, pilotavo un Curtiss C-46 Commando. Credo di averne conosciuto le viscere, meglio di quanto sapessi cosa c’era nelle mie tasche; e, come tanti altri piloti, finii per peccare di sbadataggine.

Il sistema idraulico del C-46 è un po’ complicato. Nelle condizioni nelle quali operavamo con l’aeroplano, le guarnizioni del carrello e degli iper-sostentatori, (probabilmente tutti in in Italia oggi dicono flap) tendevano a rinsecchire facilmente. Dovevamo fargli fare un ciclo completo di frequente, per mantenere i pistoni degli attuatori elastici e assicurarci di non avere una perdita di fluido idraulico, causata da guarnizioni indurite.
Perciò, di solito, tanto per assicurarmi che tutto andasse bene, estendevo i flap mentre aspettavo il mio turno in linea di volo. Su e giù, su e giù.



Un C-46

Nella nostra squadriglia era SOP, (Standard Operating Procedure), procedura ordinaria, far fare agli iper-sostentatori tre cicli completi. Prima in linea di volo o nel ricovero fortificato, di nuovo, mentre si rullava per il decollo e un’ultima volta dopo la prova magneti finale.
Quella mattina, a Saipan, mi buttarono giù dal letto alle 5:00; per un volo a Okinawa, organizzato di fretta, con un carico di materiali pesanti e quattro o cinque uomini. Prelevai il mio co-pilota, uno nuovo, controllai l’aeroplano ed eravamo pronti a partire.
Volevo essere assolutamente sicuro che quei flap funzionassero bene, nel caso ne avessi avuto bisogno al decollo. Feci il controllo previsto nel ricovero e ne feci un altro mentre rullavo verso la pista. Poi, mentre ce ne stavamo lì seduti a un capo della pista, ad attendere il decollo di un altro gruppo di aerei, li controllai di nuovo. Voce per voce, eseguimmo tutta la lista dei controlli.





Power ai comandi

Il mio co-pilota ottenne l’autorizzazione al decollo, mi fece un cenno con la testa ed eravamo in partenza. Il fidato C-46 cominciò a correre lungo la pista, mentre io interrogavo gli  strumenti, per assicurarmi di avere i pollici di pressione di alimentazione prescritti dal manuale. Mi resi conto immediatamente che qualcosa non andava.


L’aereo filava come un treno sulla pista, cercando di decollare; e io spingevo come un ariete sul volantino per tenerlo a terra! Secondo dopo secondo, ci stavamo mangiando tutta quella pista, ruggendo verso la fine. Per un attimo, ebbi una visione terrificante di quel che sarebbe accaduto. Procedevamo barcollando a 60 miglia all’ ora...poi a 65...un pochino più veloci. Ma non abbastanza. Saremmo giunti presto agli ultimi metri di pista; e io avrei dovuto tagliare motore subito o non ci sarebbe stato neanche il tempo di pregare.
Non riuscivo a capire, benché cercassi, in quei fugaci secondi, di passare al vaglio tutto ciò che potesse esserci di incongruo. La sola cosa di cui ero sicuro era che, a quel punto,  l’aereo non sarebbe dovuto decollare; eppure tirava e scalpitava per staccarsi da terra. Stavamo accelerando ancora, e i pochi piedi che rimanevano di pista ora mi sembravano solo pollici.
Con un ruggito l’aereo spiccò il volo. Non ero più riuscito a mantenerlo a terra. Pareva barcollare, mentre si staccava pesantemente dalla pista. Preso dalla disperazione, roteai lo sguardo come un frustino tutt’intorno all’ abitacolo. Forse il trim era sbagliato. Pensai a mille cose e le scartai tutte. Colsi uno sguardo del mio co-pilota, il quale a quel punto sembrava un uomo che stesse percorrendo a piedi l'ultimo miglio, diretto al patibolo.
E poi tutti e due guardammo giù e, nel medesimo istante, capimmo quel che era successo.
Avevo lasciato giù tutti i flap!
Il nuovo co-pilota, proprio appena uscito dall’incubatrice, si mosse con la rapidità del lampo. Il suo bracciò calò e...retrasse tutti i flap, di colpo, nella frazione di un secondo.
Non c’è bisogno di spiegare ai piloti quel che succede quando si retraggono gli ipersostentatori di colpo; specialmente in un aereo della stazza del Commando  e a pieno carico.
Di solito, i flap sarebbero stati estesi solo fino a 15०, perché ogni deflessione oltre quel valore crea solo resistenza aerodinamica e riduce l’accelerazione. (Questo non è sempre vero. Dipende da quanto sono estesi. ndt). Decollando con i flap completamente estesi, avevamo spiccato il volo molto prima, ma a una velocità molto più bassa.
Ma eccoci lì. Il co-pilota aveva tolto i flap. Sapeva quel che sarebbe successo, e anch’io.
Mi pareva di essere ai comandi di un lingotto di piombo. Perdemmo quota, non so neanche quanta. Ero troppo occupato a tenere tutta manetta e a ruotare la ruota dell'aletta di compensazione con tutta la mia energia.
Il carrello a quel punto era già retratto, ma eravamo ancora così bassi che le estremità delle eliche sfioravano la terra. Le luci rosse all’estremità della pista si stavano avvicinando come palle di cannone. Subito dopo c’era una bella collinetta. Nonostante il momento, mentre mi scioglievo in un sudore nervoso e gelido, pensai ai titoli dei giornali di casa:”L’ultima scena di Tyrone Power ha fatto veramente colpo.”
Però, quasi per miracolo, riuscimmo a doppiare per un pelo la cima di quella collina, con i motori del Commando che urlavano come aquile. Il resto del volo fino a Okinawa fu senza storia.
Ma oggi, non importa se sia in California o a Roma, mi raccolgo per un secondo o due prima del decollo, e ripenso a quella mattina a Saipan.






Il racconto di Power offre lo spunto per parlare un po’ di tecniche di pilotaggio. Senza voler criticare ingiustamente il comportamento dei piloti in questo caso, (hanno reagito d’impulso a una situazione inusuale, ed è facile parlare col senno di poi), mi pare che Power insista erroneamente sul fatto che l’ aereo non “sarebbe dovuto decollare” a quella velocità; quando però ovviamente lo stava facendo! Non so quale fosse l’estensione massima dei flap del C-46, o che tipo di flap fossero, (perché è un fattore da considerare), però non è vero che una deflessione di più di 15 gradi causi solo resistenza. Per esempio, la tecnica raccomandata dai manuali oggi, su un aereo a carrello biciclo come il C-46, per il decollo da campi corti o soffici, è la seguente: estendere i flap al valore prescritto dal costruttore, (per esempio, sul Cessna 188 anche fino a più di 20 gradi), cominciare il rullaggio, alzare il ruotino di coda dal suolo solo di alcuni centimetri, (l’ala è stallata, quando l’aereo poggia sul ruotino caudale) e lasciare che l’aereo si stacchi da terra da solo, senza rotazione, (tra l’altro è più facile, perché non entra in gioco l’effetto giroscopico dell’elica; e se si trasportano carichi liquidi, come su un aereo agricolo quale il 188, quando si ruota il carico ondeggia). Dopodiché lasciare che l’aereo acceleri in effetto suolo fino alla Vx (se ci sono ostacoli da superare), o alla Vy. (Questa zuppa di V è un po’ troppa densa per i non piloti, però abbiate pazienza). La velocità alla quale l’aereo si stacca da terra è praticamente irrilevante. (Non si alzerebbe in volo se l’ala fosse stallata!). Raggiunta un’altitudine di sicurezza si possono cominciare a ridurre gli ipersostentatori gradualmente.


Un 188.

Sui bimotori c’è da fare però un’altra considerazione: un decollo, (o anche un avvicinamento a un campo corto) a velocità prossime allo stallo, vi porterebbe a volare a velocità più basse della VMC (la minima velocità, che però è una variabile, alla quale è possibile mantenere il controllo con un motore spento, in quelle condizioni. A proposito, se vi interessa leggere il racconto di un atterraggio su un campo estremamente corto con un aereo relativamente grande, date un'occhiata a questo post). I motori a pistoni tendono a piantare quando girano a pieno regime, (come al decollo). Una piantata sotto VMC significa perdita di controllo assicurata, (soprattutto con un aereo come il C-46 con 2000 HP, Kw 1490 per parte!) Comunque anche quello è un rischio calcolato che in certi casi deve essere considerato.

L. Pavese
           

     
 

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