Infierno en el monte tucumano
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Come abbiamo visto nella prima parte , lo E.R.P., il sedicente Esercito Rivoluzionario del Popolo argentino, emanazione del Partito Rivoluzionario del Popolo si proponeva di creare un'enclave territoriale, retta da un governo comunista, dalla quale poi estendere la loro lotta rivoluzionaria all'intera Argentina. Con l'aiuto, speravano, dei governi marxisti di altri paesi; una volta che si fossero assicurati il riconoscimento internazionale del territorio conquistato.
Lo E.R.P. aveva scelto la provincia settentrionale di Tucumán, perché la morfologia impervia della regione rendeva difficile l'accesso ai mezzi delle forze armate argentine, ed era quindi adatta alla guerriglia; ma la scelta aveva anche un valore simbolico, perché nella provincia, nel 1816, fu dichiarata l'indipendenza del paese.
Questa è la seconda parte della traduzione del post: "El Operativo Independencia. La guerra contra la guerrilla subsersiva en Tucumán (1974-1975-1976)". di Alberto N. Manfredi (h).
La battaglia del torrente San Gabriel
In seguito a questi attacchi, (si riferisce all'attacco al 29⁰ Reggimento Fanteria di Formosa e al contemporaneo dirottamento aereo. Vedi fine della prima parte, ndt), il governo, guidato
provvisoriamente dal dottor Italo Argentino Luder, emanò il decreto n. 2770 che
istituiva il Consiglio di Sicurezza Interna, presieduto dal Presidente della Nazione
e composto dai ministri dell'esecutivo e dai comandanti generali delle Forze
armate. Il decreto stabiliva a chi spettasse la direzione degli sforzi
nazionali per combattere la sovversione. Obbligava all’esecuzione di qualsiasi
compito che il Presidente della Nazione imponesse a tale scopo, e attribuiva la
competenza al Potere Esecutivo su tutto ciò che riguardasse la lotta alla
sovversione. Sanciva a chi spettasse la guida delle Forze Armate, delle Forze
di Sicurezza e delle Forze di Polizia per combattere la sovversione e delineava
l'adozione di misure e strategie da applicare sul campo di battaglia.
L'articolo IV del decreto stabiliva che la Segreteria
Stampa e Diffusione della Presidenza della Nazione e la Segreteria di Stato per
l'Informazione erano funzionalmente assegnate al Consiglio di Difesa; e
l'articolo V stabiliva che la Polizia Federale e il Servizio Penitenziario
Nazionale erano subordinati agli stessi fini.
Firmavano il decreto Luder, in qualità di presidente ad
interim della Nazione, e ii ministri Aráuz Castex, Vottero, Ruckauf, Émery,
Cafiero e Robledo.
Il decreto diede origine alla Direttiva 1/75, intitolata
“Lotta contro la sovversione”, emanata nell’ottobre dello stesso
anno, il cui articolo V recitava quanto segue: “Le Forze armate, le Forze di
sicurezza, le Forze di Polizia e gli altri organismi posti a disposizione di
questo Consiglio di Difesa, dal momento della ricezione della presente
Direttiva, realizzeranno l’offensiva contro la sovversione, su tutto il territorio
nazionale, per individuare e annientare le organizzazioni sovversive, al fine
di preservare l’ordine e la sicurezza dei beni, delle persone e dello Stato”[1]
L'Argentina era in guerra e si preparava a rispondere
all'aggressione. Nel frattempo, il generale Vilas metteva in atto nuovi piani
tattici per circondare la guerriglia e impedirne la fuga, facendo arrivare
truppe di rinforzo da Mendoza e Salta.
Tuttavia, il nemico era ancora attivo e, il 6 ottobre, i
comunisti persero tre uomini quando si scontrarono con un plotone misto
dell'esercito argentino e della polizia di Tucumán. Nonostante ciò, il giorno
dopo, i sovversivi tesero un'imboscata nei pressi del fiume Los Sosa e
attaccarono il camion militare che ogni giorno percorreva la tratta Tafí del
Valle e Acheral, trasportando rifornimenti e armi.
Una trentina di militi dell'E.R.P. si preparavano a
prendere posizione su entrambi i lati della strada, quando si imbatterono in un
plotone di 14 uomini che in quel momento stava pattugliando la zona.
Alle ore 18:15, nelle immediate vicinanze della Strada
Provinciale 307, a soli cinque chilometri da Santa Lucía, si verificò uno
scontro armato in cui rimasero uccisi due soldati, Juan C. Castillo ed Enrique
Ernesto Gustoni, entrambi della classe 1954, e un sovversivo, mentre altri due
militari dell'esercito rimasero feriti.
Lo E.R.P., che nel suo comunicato aveva esagerato
notevolmente il numero degli avversari e quello delle vittime, rientrò nella
macchia seguito da vicino dalla pattuglia militare; e durante questa seconda
fase dell'azione furono uccisi il comandante guerrigliero Jorge Carlos Molina,
noto come capitan Pablo, e il soldato Alfredo Ordóñez.
Nella notte tra l'8 e il 9 ottobre, l'E.R.P. subì un
altro duro colpo quando perse Oscar Asdrúbal Santucho, fratello di Mario, e
Manuel Negrín, due importanti membri dell'alto comando della guerriglia, uccisi
durante gli scontri nei pressi dello Ingenio (zuccherificio) Santa Lucía.
L'accaduto costrinse i guerriglieri a smantellare
l'accampamento di La Comandancia e a richiedere rinforzi in armi e uomini: una
consegna che avrebbe avuto luogo il 10 ottobre presso il ponte sul torrente San
Gabriel.
Quel giorno, verso l'una del pomeriggio, una dozzina di
combattenti giunsero sul posto, sulla Strada Nazionale 38, a tre chilometri da
Acheral, ignari del fatto che l'esercito avesse già rilevato la loro presenza
grazie alle informazioni fornite da due abitanti del posto, i quali erano
andati al posto di comando per mettere in guardia contro la presenza di persone
sospette che si aggiravano nei campi di canna da zucchero.
In quel momento, il comandante della FT (Fuerza de Tarea.
Gruppo d’intervento) “Ibatín” si trovava a Santa Lucía per identificare i corpi
di Santucho e Negrín, uccisi il giorno prima. Informato dell'accaduto (alle ore
9.30), l’ufficiale riferì ai suoi superiori quanto stava accadendo e si mise in
movimento per stabilire un accerchiamento intorno al nemico, inviando nella
zona le sue unità di combattimento.
Nel settore giunsero 26 soldati della FT “Ibatín” (alle
ore 10:30), seguiti da vari plotoni più piccoli; e tre
elicotteri Bell UH-1H (alle 11:00), uno dei quali al comando del sottotenente
Oscar Delfino, proveniente dal posto di comando della Tenuta Garro.
Con le truppe regolari al riparo, uno degli elicotteri
ricevette l'ordine di effettuare due sorvoli a bassa quota per osservare la
zona.
Il primo volo non diede alcun risultato, ma il secondo
(con l’aeromobile immatricolato AE-412) individuò due combattenti accovacciati
nella vegetazione (alle 11:38).
L'elicottero aprì il fuoco, senza però colpire il
bersaglio, dando ai sovversivi il tempo di abbattere il caporale José A.
Ramírez, mitragliere di porta, e di ferire gravemente il capitano Valiente,
oltre a danneggiare gravemente la fusoliera e i meccanismi dell'aeromobile.
L'elicottero dovette effettuare un atterraggio di
emergenza a ottanta metri dalla posizione delle truppe dell'E.R.P., atterrando
piuttosto bruscamente nella vegetazione. Il pilota, Oscar Delfino, spense il
motore mentre le truppe regolari coprivano l'evacuazione dei morti e dei
feriti.
Alle ore 12:00, arrivò un secondo elicottero che lanciò
diversi razzi contro il campo di canna da zucchero, innescando un vasto
incendio.
In quel momento, ventuno soldati di rinforzo giunsero
nella zona provenienti dal Posto di Comando Tattico, i quali attuarono una
manovra a tenaglia molto ben pianificata che permise loro di chiudere l'assedio
da nord e impedire al nemico di fuggire.
I combattimenti divennero intensi, con diversi morti e
feriti da entrambe le parti, ma soprattutto fra i comunisti.
Dopo le 13:00, giunse un quarto elicottero con a bordo il
generale Acdel Vilas, il quale consigliò di mantenere il perimetro finché ci
fosse stata luce, battendo sempre il settore per logorare l'avversario. L'idea
era quella di evitare altre vittime fra le truppe governative e costringere
l'E.R.P. a prendere l'iniziativa.
I combattimenti continuarono fino alle ore 17:00, quando
gli elicotteri si ritirarono e l'esercito iniziò ad avanzare, muovendo in
avanti con 50 soldati del 19° Reggimento di Fanteria e lasciandone altrettanti
nelle retrovie per mantenere l'accerchiamento.
Il bilancio finale fu di 12 sovversivi e un sottufficiale
delle forze regolari morti, tre feriti e due elicotteri danneggiati.
Quel giorno il comunismo subì una terribile sconfitta:
perse una dozzina dei suoi quadri solo poche ore dopo l'uccisione di due dei
suoi principali comandanti.
Fu il colpo di grazia ai ranghi dell'insurrezione e,
sebbene la guerra continuasse fino alla metà del 1976, l’attività dei
guerriglieri si limitò ad azioni evasive e a missioni di inseguimento da parte
delle Forze Armate.
La sostituzione del general Vilas
Il mese di ottobre 1975 fu decisivo. L’ Esercito Rivoluzionario
Popolare aveva subito duri colpi e stava cominciando a mostrare segni di
disfacimento, portando l'alto comando delle Forze Armate a pensare che fosse
stato sconfitto.
Fino a quel momento, in quell'anno 1975, lo E.R.P. aveva
subito perdite significative, comprese quelle dei suoi comandanti più alti in
grado; aveva perso armi ed equipaggiamento e stava iniziando a trovarsi
emarginato, costringendo molti dei suoi combattenti ad abbandonare la zona e
tornare nelle città.
Quando l'esercito occupò l'accampamento principale della
guerriglia il 18 ottobre, seguito quattro giorni dopo dal suo quartier
generale, la dirigenza dell'E.R.P. giunse alla conclusione, dopo una sessione
plenaria tenutasi presso il campo de El Niño Perdido, che i suoi miliziani
nella regione dovessero essere urgentemente diradati.[2]
Nonostante tutto: i duri colpi ricevuti, la perdita di
uomini e la mancanza di sostegno da parte della popolazione di Tucumán, la
sovversione continuò a disporre di uomini disposti a tutto, come dimostrò la
battaglia notturna presso il torrente Fronterita, il 24 ottobre, nella quale caddero
il sottotenente Diego Barceló e i coscritti Orlando Moya e Carlos Vizcarra.
Il 31 ottobre 1975 ebbe luogo una nuova battaglia presso
Finca Triviño, dove una colonna sovversiva che scendeva dal pendio della
montagna incontrò le forze governative e perse sette uomini. Una settimana
dopo, a Los Higuerones, furono uccisi il caporale Wilfredo Napoleón Méndez e la
recluta Benito Oscar Pérez, seguiti da un altro sottufficiale, il sergente
Miguel Angel Moya, ucciso a Yacuchina (Almacén Díaz) il 16 novembre.
Come racconta il colonnello Eusebio González Bread nel
suo La guerrilla en Tucumán. Una historia no escrita: nel corso del
1975, in 37 battaglie, le forze leali al governo avevano subito 53 perdite,
causandone 160 al nemico (senza contare quelle avvenute durante gli attacchi
alle caserme del 17⁰ Reggimento di Fanteria di Catamarca e del 29⁰ Reggimento
Fanteria di Montagna di Formosa). Furono distrutti 58 campi della guerriglia e
furono organizzate 18 imboscate con risultati positivi, oltre a diversi prigionieri
catturati e alla preziosa documentazione sequestrata.
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Il Generale Bussi passa in rivista le sue truppe. |
Nel mese di dicembre 1975, il generale Vilas, comandante
della 5ª Brigata di fanteria e direttore dello “Operativo Independencia”, venne
sostituito dal generale Antonio Domingo Bussi, che era stato nominato
governatore della provincia di Tucumán, pur mantenendo la sua carica di
comandante di brigata.
Il messaggio di commiato del generale Vilas al popolo di
Tucumán (partiva per la sua nuova destinazione a Bahía Blanca, come secondo
comandante del V Corpo d'Armata) e il discorso d’insediamento del governatore
Bussi, dichiararono senza mezzi termini che la missione si stava svolgendo
secondo i piani e che si intendeva proseguire fino allo sradicamento definitivo
della guerriglia dal territorio nazionale:
“Se la sovversione ha perso la sua capacità di
reclutamento, se le fabbriche sono in grado di produrre normalmente, se una
comunità come questa ha riscoperto i suoi valori trascendenti di “argentinità”;
se abbiamo isolato i sediziosi sulle montagne tagliando loro i rifornimenti e
le comunicazioni, se abbiamo inflitto così tante vittime all'avversario, se
abbiamo annientato i principali leader e causato diserzione nelle loro fila, se
conosciamo i loro piani, i loro obiettivi, i loro metodi; e se li abbiamo sfrattati
dai centri di produzione, abbiamo ottenuto tutto questo grazie allo spirito
sereno e solidale di questo popolo, mentre il Signore illumina la nostra giusta
causa, in difesa dell'unità nel nostro destino.
“Fra tutti questi successi, vorrei sottolinearne uno: il
riscatto di una comunità che, smarrita e impaurita, camminava titubante per le
strade delle città. Questo, e non il numero delle vittime, costituisce il
nostro principale fattore di successo in questa guerra, che è diversa da
qualsiasi altra."
E le seguenti parole, tratte dal discorso di addio del
generale Vilas alla 5⁰ Brigata di Fanteria, integrano quelle pronunciate dal
generale Bussi al momento dell'assunzione del comando:
“Non facciamoci trarre in inganno dalla possibilità di un
successo immediato. L'eliminazione fisica degli ultimi criminali che ancora
vagano sconfitti tra queste colline e fra le montagne di Tucumán non sarà la
soluzione ai gravi problemi che affliggono oggi l'Argentina.
“Resta da scoprire e annientare i maggiori responsabili
della sovversione che è stata scatenata. Coloro che, allo scoperto o
dall'ombra, approfittando delle gerarchie, delle cariche e degli uffici
raggiunti, ci attaccano giorno e notte, con le loro azioni od omissioni, e
coprono, se non addirittura proteggono, questi criminali che oggi
combattiamo.
“Gli ideologi che alimentano tutto questo e distruggono.
La delinquenza, e anche coloro che, arroccati o infiltrati nei diversi livelli
della Nazione, hanno commesso o commettono reati, giustificando, facilitando o
favorendo la sovversione in qualsiasi sua manifestazione.
“Prima o poi, faremo sentire a tutti costoro la potenza
delle nostre armi e la forza della nostra causa, indipendentemente dal loro
grado di occultamento, dal tempo trascorso o dalla posizione da loro
conseguita.
“Perché credo che solo la totale igiene morale e fisica
della Repubblica, fino alle estreme conseguenze, ci permetterà di sradicare una
volta per tutte questa sovversione che ci disgusta, che ci fa vergognare come
cittadini, come società e come Stato."
Era chiaro che l'alto capo militare si riferisse ai
funzionari infiltrati nel governo democratico al potere, molti dei quali
simpatizzanti e altri addirittura militanti delle bande sovversive che minavano
la società.
Il Monte Chingolo
Il 23 dicembre 1975, l'Esercito Popolare Rivoluzionario
portò a termine la sua più grande operazione della guerra di sovversione:
l'attacco al 601° Battaglione dell'Arsenale "Domingo Viejobueno" di
Monte Chingolo, nel distretto di Lanús, a sud di Buenos Aires, dal quale la
guerriglia cercava di sottrarre armi per il teatro di Tucumán.
Secondo il piano, l'attacco avrebbe dovuto essere
effettuato il giorno 21, dopo l'orario di visita, ma un proclama dell'Aeronautica
Militare, guidata dal generale di brigata Orlando Cappellini, aveva imposto un
confinamento generale delle truppe nelle caserme, a causa delle
dimissioni del generale di brigata Héctor L. Fautario e della sua sostituzione
con Orlando Ramón Agosti (Fautario, in una riunione, si era dichiarato
contrario al colpo di stato militare, che era già stato programmato per il
marzo del 1976, ndt).
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La Presidente Perón con Fautario, l'ammiraglio Massera e il generale Videla |
Determinato però ad agire, lo ERP, alleato con i
Montoneros, posizionò i suoi plotoni urbani e, due giorni dopo, lanciò
l'operazione. Ricevettero l'ordine di mobilitazione: il Battaglione "José
de San Martín", le compagnie "Héroes de Trelew", "Héroes de
1917", "Combate de San Lorenzo", "Decididos de
Córdoba" e i membri della Compagnia di Montagna "Ramón Rosa
Jiménez", che si recarono appositamente nella capitale argentina per
unirsi alla forza di aggressione, insieme a numerosi quadri dell'organizzazione
dei Montoneros e a combattenti di unità più piccole che formarono un poderoso
battaglione di trecento uomini e donne decisi a tutto.
All’uopo, nei giorni precedenti, l'alto comando
sovversivo aveva affittato una casa a Quilmes, dove aveva stabilito il suo
quartier generale. Da lì, Mario Roberto Santucho diresse le azioni, ordinando
il sequestro di camion, autobus e minibus e il furto di veicoli privati che i guerriglieri intendevano
utilizzare per avvicinarsi al loro obiettivo.
Il resoconto delle azioni da parte della guerriglia è più
che eloquente:
"L'obiettivo era recuperare alla causa dell’Esercito
Popolare 13 tonnellate di armi e altri mezzi. Lo slogan era "vincere o
morire".
“Partimmo in gruppi e ci incontrammo quindici minuti
prima in un albergo per attendere i veicoli necessari per l'azione.
“L'unità "Pérez" guidò l'azione. Quando ci
trovammo a 50 metri dal cancello, cominciammo a sentire le prime raffiche
sparate dall'esercito oppressore. Entrammo nella caserma con determinazione.
Era ovvio che ci stessero aspettando. Da una torre di osservazione che dominava
l'intera caserma ci sparavano con mitragliatrici pesanti. Una volta entrati,
scendemmo dalle auto e indirizzammo le nostre azioni verso i luoghi
prestabiliti. Il movimento era molto difficile a causa dell'azione
nemica.
“Molti compagni furono uccisi e i nostri spostamenti
all'interno divennero sempre più difficili."
L'attacco iniziò alle 19:00, quando un camion Mercedes
Benz speronò violentemente il cancello principale del battaglione ed entrò,
seguito da nove veicoli carichi di combattenti.
Ne seguì un violento scambio di colpi di arma da fuoco,
la cui intensità aumentò con l'arrivo di altri guerriglieri.
Erano 70 gli uomini agli ordini del
"comandante" Abigail Attademo, assistito da Ricardo Daniel Waisberg e
Liliana Alcira Malamud, la cui missione era quella di conquistare i punti
strategici dell'arsenale. Erano appoggiati dall'esterno da duecento combattenti
disposti a sacrificare la propria vita.
Sotto il fuoco intenso, la guardia riuscì ad avvisare il
colonnello Eduardo Abud, comandante del battaglione, che si precipitò a
comunicare con l'alto comando nella capitale federale, per iniziare il
contrattacco.
Mentre la guardia cercava di respingere l'attacco e
l'operatore radio in servizio trasmetteva da terra, il Casinò degli Ufficiali
venne attaccato dal retro da un altro gruppo di terroristi. Tuttavia,
contrariamente a quanto i guerriglieri pensavano, la resistenza fu dura e ciò
diede loro la spiacevole sensazione che l'esercito fosse già stato in
allerta.
Gli otto sovversivi entrati dal retro vennero abbattuti
dalla postazione della mitragliatrice, supportati da un mezzo blindato che
avanzava verso i guerriglieri sparando a corte raffiche.
A quel punto, lo E.R.P. aveva tagliato ogni accesso alla
sede del Battaglione e stava realizzando contemporaneamente "azioni
diversive" contro il 7º Reggimento di fanteria di La Plata e su diverse
stazioni di polizia in diversi punti della zona meridionale (Bernal, Quilmes,
Lanús, Villa Domínico, Puente Avellaneda, Puente (ponte) 12 dell’autostrada
Ricchieri, Camino Negro, Camino General Belgrano e Camino de Cintura).
Diversi autobus, un pullman a lunga percorrenza e un paio
di camion che i guerriglieri avevano piazzato lungo le strade per bloccare il
passaggio furono attaccati e incendiati.
In un altro punto, la guardia dei passaggi a livello di
Pasco e Caaguazú (Ferrovia General Belgrano) fu costretta ad abbassare le
sbarre e un treno, proveniente dalla capitale, fu costretto a fermarsi e i
passeggeri furono fatti scendere.
La notte stava lentamente calando quando gli elicotteri
armati della 7ª Brigata Aerea di stanza a Morón entrarono in azione. Ma,
una volta raggiunta la zona di combattimento, ricevettero raffiche letali di
fuoco concentrato che li costrinsero a ritirarsi.
Alle ore 20:00 una colonna corazzata proveniente da La
Tablada raggiunse il fiume Matanza, iniziando ad attraversare il ponte sul
Camino de Cintura, dove l'E.R.P. aveva messo di traverso diverse auto e
appiccato un incendio con il carburante spillato da un'autocisterna.
Quando i blindati forzarono il blocco, i sovversivi si
ritirarono. Mentre ciò accadeva, si svolgevano combattimenti in Avenida Pasco e
al Puente de La Noria, vicino al quale si era piazzato un secondo plotone di
sovversivi. Uno dei suoi membri, Alejandro Bulit ("Juancito"), cercò
di lanciare una granata artigianale contro il convoglio militare, ma questa gli
esplose fra le mani, sfigurandogli il volto. Bulit cadde a terra, ferito a
morte, mentre i suoi compagni abbandonarono la zona e la colonna fedele continuò
la marcia.
In quel momento, truppe di rinforzo provenienti dalla
capitale federale, da La Plata e da La Tablada, stavano convergendo verso
l'arsenale, attaccate dai guerriglieri da case private, dai tetti e da altre
posizioni. Il combattimento era infernale.
Nei pressi dell'arsenale, gli agenti della Polizia
Federale e della Polizia Provinciale di Buenos Aires cercavano di proteggere i
civili che, terrorizzati, fuggivano in tutte le direzioni; mentre gli abitanti
del quartiere chiudevano porte e finestre e si rintanavano nelle loro case.
Con il calare della notte, la battaglia divenne ancora
più confusa. Fu a questo punto che i bombardieri English Electric Canberra
della 2ª Brigata Aerea giunsero sulla scena per lanciare razzi e bengala per
illuminare la zona e facilitare l'avanzata delle truppe lealiste. Dietro di
loro, altre unità aeree effettuavano voli di osservazione a rotazione,
individuando le posizioni nemiche.
Nel frattempo, sul posto erano giunti rinforzi del 3°
Battaglione di Fanteria di Marina, della Gendarmeria nazionale, della Polizia
federale e della Polizia provinciale di Buenos Aires che, grazie al loro numero
e alla loro aggressività, decretarono l’esito dello scontro.
Il rapporto diffuso dall'E.R.P. nei giorni successivi dà
un’idea chiara della portata della battaglia:
“L'azione durò più di tre ore e mezza e, durante questo
lasso di tempo, non riuscimmo a mettere piede in nessun settore; la cosa più
spiacevole fu dover abbandonare un gran numero di compagni morti e feriti senza
poter fornire loro cure adeguate.
“Quelli di noi che erano ancora in grado di muoversi
cominciarono ad allontanarsi dalla zona. Molti di noi sono riusciti a
raggiungere un villaggio vicino dove abbiamo preso contatto con molti abitanti
del posto che ci hanno offerto aiuto, prendendosi cura dei feriti e
proteggendoci dalle ricerche delle truppe e degli elicotteri".
Gli scontri terminarono intorno alle 23:00 con un
bilancio tremendo: 58 sovversivi e sei soldati lealisti morti, cinque
dell'esercito e uno della marina, più un numero imprecisato di civili innocenti
uccisi nelle vicinanze, una cifra che non è mai stata determinata con
esattezza.
La battaglia di Monte Chingolo registrò la più grave
sconfitta subita dalla sovversione. Il suo obiettivo di impadronirsi
dell'arsenale fallì completamente e lasciò il movimento praticamente indifeso.
I dirigenti dell'E.R.P. e dei Montoneros ne risentirono
molto; come le dure sconfitte subite sul campo di battaglia di Tucumán e la
lenta ritirata verso le aree urbane lo avrebbero poi dimostrato.
La guerra nel 1976
La prima misura adottata dal generale Bussi una volta al
comando fu il lancio dell'operazione Lamadrid, consistente in una serie di
imboscate e incursioni volte a chiudere ogni via di fuga alla guerriglia
(operazione varata il 29 dicembre 1975).
Il periodo dell'anno in cui il piano entrò in vigore, però, non era adatto a causa delle piogge e delle alte temperature tipiche di qualsiasi regione subtropicale. Tuttavia vennero effettuate lunghe incursioni e missioni di esplorazione attraverso le pianure, le montagne e le boscaglie, catturando uno ad uno gli accampamenti e i depositi che il nemico stava abbandonando.
Tra il 19 e il 25 gennaio 1976, ebbe inizio la seconda
fase del piano, che consisteva in un’esplorazione intensiva della zona della
giungla nei pressi del fiume Salí e dei suoi affluenti, utilizzata dalla
guerriglia per i propri spostamenti.
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Marzo 1976. I generali Menendez e Bussi ispezionano un campo dell'Esercito Argentino. |
La terza fase iniziò il 27 gennaio e durò fino al 25 febbraio. Nel corso di essa vennero distrutti 15 insediamenti e catturate armi ed equipaggiamento; il tutto senza combattere poiché il nemico evitava a tutti i costi lo scontro.
Il 9 gennaio 1976 venne messa in atto l'Operazione Salud,
una manovra a tenaglia sulle fonti termali del Río Hondo, in cui due colonne
dell'Esercito, una proveniente da San Miguel de Tucumán e l'altra da Santiago
del Estero, crearono un accerchiamento che mirava a bloccare i sovversivi a
sud-ovest della prima città; un assedio che però non diede risultati.
Tuttavia, come afferma González Breard, "Sebbene
i sovversivi non furono annientati, né furono i loro materiali catturati,
l'obiettivo di rendere instabile la zona (per la guerriglia) fu raggiunto
mediante piccole azioni di rastrellamento e pattugliamento nei centri abitati,
negando al nemico la possibilità che l’area potesse fungere da base di appoggio
per le guerriglie che operavano a Tucumán."
Tra il 17 gennaio e il 28 febbraio 1976, vennero avviate
altre operazioni, una delle quali denominata “Fanfarria”, con estesi tour nella
regione del fiume Salí; la “Immaculada”, nella città di Concepción;
l’operazione “Monteros”, con incursioni nell’omonima città; “San Miguel de
Tucumán”, consistente anch’essa in incursioni massicce e selettive nel
capoluogo di provincia; “Tafi Viejo”; “Albergue”, con perquisizioni
approfondite in alberghi, locande, ostelli e pensioni che avrebbero potuto
essere utilizzati dal nemico; e “Cerrojo”, nella quale vennero bloccate tutte
le vie di accesso a San Miguel de Tucumán.
La battaglia di El Cadillal
In quel periodo, visti i rovesci subiti, l'E.R.P. cercò di aprire due nuovi fronti presso lo Embalse (lago artificiale) El Cadillal e Sierra de Medina, nel disperato tentativo di mantenere la propria presenza nelle zone rurali, dopo i ripetuti fallimenti e il disastro di Monte Chingolo.
Nel frattempo, i Montoneros avevano condannato a morte
molti dei loro leader, accusandoli di tradimento e diserzione. Allo stesso
tempo cercarono anche di dare maggiore rilevanza alle loro azioni,
avventurandosi sulle montagne per rinforzare lo E.R.P.
Ne furono la prova il viaggio di ricognizione di Juan
Carlos Alsogaray, militante montonero e figlio dell'ex comandante in capo
dell'esercito Julio Alsogaray, e l'attacco al generale Vilas a Buenos Aires,
nel primo anniversario del varo dello “Operativo Independencia”.
In quell'occasione, le autorità militari avevano
organizzato un pranzo presso il 1º Reggimento di Fanteria di stanza a Buenos
Aires, dove gli ufficiali volevano rendere omaggio al generale Vilas per la sua
brillante prestazione alla guida dell'operazione anti-terrorismo.
I Montoneros avevano pianificato la sua “esecuzione”
affidando la missione al plotone “Pueblo de Tucumán”, uno membro del quale, il
soldato “dragoneante” (graduato) Miguel Romero (classe 1954), avrebbe dovuto
avvelenare il cibo che sarebbe stato servito.
Il forte odore proveniente dai piatti allertò i
commensali e il tentativo andò a monte. Venne dato l'ordine di arrestare
Romero, ma nel frattempo il coscritto aveva già abbandonato il reggimento senza
lasciare traccia.
Era evidente che la Compañía de Monte fosse stata
gravemente menomata e, per questo motivo, i suoi comandanti chiesero rinforzi.
Il “vertice” rispose inviando nuovi combattenti, appartenenti alla compagnia
“Decididos de Córdoba”, specializzati in operazioni urbane, anche se
estremamente combattivi e fanatici: rinforzi che servirono a sollevare il
morale e a iniziare nuove operazioni; per esempio a El Cadillal, dove
l’esercito e la polizia furono costrette a inviare numerose pattuglie e plotoni
di rinforzo.
Il 19 febbraio 1976 si verificò una violenta battaglia
nella regione di Merendero, dove l'E.R.P. si scontrò con le forze regolari
vicino al bivio della Strada Nazionale n. 9 con la strada d’accesso alla diga
di El Cadillal. Lì venne abbattuto il medico e sovversivo Eduardo Pedro Palás,
i cui nomi di guerra erano tenente “Manolo” e “Médico Loco”, (Dottore Pazzo,
ndt) un veterano della prima ora a Tucumán.
Quando i guerriglieri fuggirono nei boschi, le forze
lealiste si impossessarono di una quantità di materiale considerevole.
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Mine artigianali, fabbricate dallo E.R.P. |
Il giorno 20, le Forze Armate continuarono a pattugliare
il settore utilizzando elicotteri e il giorno 21 si verificarono nuovi scontri
armati in cui furono uccisi altri tre guerriglieri.
Il 22 ebbe luogo una terza battaglia, nella quale
morirono sei combattenti, tra cui Héctor Raúl Penayo (il tenente “Marcos”) e,
il giorno seguente, a Burruyacu, una pattuglia mista della polizia provinciale
e dell’esercito affrontò un gruppo di individui che aprirono il fuoco
all’ordine di fermarsi. Nello scontro a fuoco, il loro capo fu ucciso e, con
grande stupore dell'opinione pubblica, si scoprì che si trattava dello stesso
Juan Carlos Alsogaray sopra menzionato, figlio del comandante in capo dell'esercito
all'epoca del Tenente Generale Onganía (Capo di Stato dal 1966 al 1970).
La guerriglia stava perdendo i suoi leader e dimostrava
una vulnerabilità fino ad allora sconosciuta.
Entrano in azione i Commandos
Secondo Ricardo Burzaco in Infierno en el monte
tucumano[3],
a metà del 1975 fu completato il corso “commando” di quell’anno. Su iniziativa
dell’ufficiale addetto all'addestramento, il maggiore Mohamed Ali Seineldín, fu
richiesto all'alto comando che la fase finale dell'addestramento venisse svolta
nella zona delle operazioni di Tucumán.
Ottenuta l'autorizzazione, venne disposta la formazione
della 601ª Compagnia Commando, la stessa unità che sette anni dopo avrebbe
combattuto nelle Isole Malvine agli ordini del maggiore Mario Castagneto.
Vestiti in mimetica, con stivali anfibi neri e baschi
verdi, i Commandos in addestramento si trasferirono alla base aerea di El
Palomar, dove salirono a bordo di un aereo C-130 Hercules e partirono per il
teatro delle operazioni.
Il terreno in cui si preparavano a operare non era loro
del tutto sconosciuto, poiché parte del loro addestramento si era svolto nelle
giungle di Misiones e del Delta del Paraná, con lunghe escursioni nella
foresta, "operazioni d'assalto", imboscate e prove di immersione in
cui mettevano alla prova la loro forza e la loro resistenza fisica.
La Compagnia arrivò a Tucumán indossando uniformi verde
oliva e mostrine di grado, come le truppe regolari che combattevano nella
provincia dal 1974, perché l'aeroporto era sotto costante sorveglianza da parte
dell'E.R.P. e dei suoi alleati e si temeva che potessero essere scoperti.
Secondo le istruzioni ricevute, una volta a terra, il
maggiore Seineldín, si presentò al generale Vilas per coordinare le azioni e
attuare un cambio di tattica consistente in pattugliamenti nella boscaglia dalle
montagne verso i centri abitati: cioè l'inverso di quanto era stato praticato
dall'inizio del conflitto.
A tal fine, sulla mappa venne tracciato un rettangolo che
comprendeva la zona delle operazioni, con il fronte sulla Strada Nazionale n. 9
e le propaggini sulla catena montuosa della Aconquija.[4]
La prima missione dei Commandos ebbe inizio il giorno
successivo al loro arrivo, quando la Compagnia, composta dal gruppo di supporto
e da tre sezioni d'assalto (50 uomini in totale), salì a bordo di dieci
elicotteri Bell UH-1H e decollò per un volo notturno verso la zona del
conflitto.
Gli aeromobili si diressero verso sud, poi virarono verso
ovest con l'idea di aggirare le colline e atterrare, sempre di notte, nella
zona designata per entrare subito nella boscaglia.
Gli elicotteri scesero fino a pochi centimetri da terra e
i commandos saltarono a terra per disperdersi nel settore, molto vicino al
letto asciutto di un fiume.
Dopo essersi raggruppate nel punto stabilito durante la
pianificazione della missione, le truppe speciali entrarono nella giungla alla
ricerca di accampamenti nemici mentre gli elicotteri si allontanavano. Se
fossero entrate in combattimento e la situazione fosse diventata intensa, i Commandos
dovevano richiedere il supporto dell'artiglieria, fornito dagli obici Oto
Melara da mm 105, che erano pronti vicino a Famaillá.[5]
La missione durò tre giorni, poi i commandos furono
riforniti in elicottero e rimasero nella zona per altri tre giorni. Dopodiché,
il maggiore Seineldín radunò i suoi capi sezione e li informò che, per non
rivelare la loro presenza, la consegna dei rifornimenti sarebbe stata sospesa,
poiché era praticamente certo che il passaggio degli aeromobili avrebbe messo
in allerta le forze dello E.R.P.[6]
Quindi il cibo venne razionato in modo da poter essere
consumato con moderazione nei restanti dieci giorni.
Durante quella prima missione, le truppe d'élite
argentine scoprirono diversi campi dove sequestrarono armi, documenti e
vestiti. Tredici giorni dopo, tornarono a Famaillá soddisfatti del loro dovere
compiuto, anche se un po' delusi per non essere entrati in contatto con il
nemico. Era stata una marcia davvero estenuante in cui ogni membro della
compagnia aveva perso tra gli 8 e i 10 chilogrammi di peso.[7]
Il battesimo del fuoco dei commando ebbe luogo finalmente
in ottobre, a ovest di Famaillá, durante la loro seconda missione di pattuglia,
quando in una serie di scontri brevi ma intensi riuscirono a uccidere numerosi
guerriglieri e a catturare altri accampamenti.
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Commandos distruggono un campo dei sovversivi nella foresta |
Nel frattempo, a Campo de Mayo, a nord di Buenos Aires,
altre sezioni del 601° stavano completando l'addestramento e si preparavano a
marciare verso il fronte per dare il cambio ai loro compagni.
Queste unità composte da 30 uomini stavano completando il
loro intenso periodo di addestramento, al termine del quale fu predisposto un avvicendamento
(a dicembre): il primo di una serie che durò fino alla fine della guerra,
dimostrando che i commandos erano una forza innovativa ed efficace.
L'Aviazione dell’Esercito
L'Aviazione dell'Esercito argentino entrò in azione
all'inizio del conflitto, (nell’agosto del 1974), quando gli elicotteri Bell
UH-1H iniziarono voli di ricognizione a supporto delle truppe del generale
Mario Benjamín Menéndez.
Il 7 febbraio 1975, l'alto comando delle Forze Armate,
ordinò la creazione della Squadriglia di Combattimento “Cóndor”, composta da
una dozzina di elicotteri UH-1H che formarono la 1ª Sezione; due aerei da
ricognizione Piper L-21B appartenenti al 601⁰ Batallón Aeromóvil ( Battaglione
aviotrasportato) e dal personale di manutenzione della 601ª Compañía de
Abastecimiento y Mantenimiento de Aeronaves (compagnia di manutenzione e
rifornimento aeromobili, ndt).
Nell'ottobre del 1975, la compagine fu rinforzata con
altri cinque elicotteri UH-1H, nonché un elicottero SA 315B Lama e uno Hiller
FH 1100 della Gendarmería Nacional, i quali trasportarono anche truppe nel
teatro delle operazioni.
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Uno UH-1H dell'Esercito armato di lanciarazzi da mm 70 |
L'Aviazione dell'Esercito fu l'aeronautica che accumulò
il maggior numero di ore di volo durante la guerra, 3.500 in totale, durante le
quali perse quattro aeromobili, il DHC-6 Twin Otter, immatricolato AE-259,
della Sección de Aviación del III Corpo d'Armata, e il Piper L-21B,
immatricolato AE-008 (tutti gli equipaggi persero la vita).
Il 10 ottobre 1975, l'elicottero UH-1H con matricola
AE-412 fu abbattuto ad Acheral e il 5 maggio 1976, nei pressi del fiume
Caspichango, l'elicottero con matricola AE-411 s’incidentò, uccidendo il pilota
e alcuni membri dell’equipaggio.
Il Piper L-21B si schiantò sul pendio orientale di una
collina nei pressi dell’ Ingenio ( zuccherificio) Santa Lucía e i suoi resti,
con i corpi del sottotenente Gustavo P. López e del primo tenente Carlos M.
Casagrande, furono ritrovati da un esperto due anni dopo la fine della guerra.
L'Aviazione dell'Esercito perdette sette uomini e il suo
personale dimostrò un coraggio e una professionalità degni di lode.
La Marina argentina nello “Operativo Independencia.”
Alla guerra di Tucumán parteciparono tutte e tre le forze
armate, oltre alla Gendarmeria e alla polizia federale e provinciale.
Data l'entità del conflitto, la Marina ordinò l'invio di
ufficiali al comando di un capitano per supportare l'esercito nelle attività
logistiche e di intelligence. Furono inviati, inoltre, il già menzionato
Beechcraft B-80 Queen Air per missioni di ricognizione con immagini termiche;
un idrovolante Grumman UH-16B Albatros, per operazioni di ricerca e soccorso, e
un elicottero Alouette III con lanciarazzi da mm 70, costruito presso la base
aerea navale di Punta Indio.
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Il B-80 Queen Air da ricognizione della Armada Argentina |
Le operazioni della Fuerza Aérea Argentina
In termini di personale impiegato, la partecipazione della Fuerza Aérea Argentina, F.A.A. (cioè l'aeronautica militare argentina) alla campagna del Tucumán fu molto maggiore di quella dell'Aviazione dell'Esercito e dell’arma aerea della Marina, poiché fin dall'inizio della guerra la F.A.A. fu incaricata di sorvegliare l'aeroporto "Benjamín Matienzo" e di trasportare truppe e armamento pesante.
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Il C-130 Hercules TC-67 imbarca soldati che lasciano la zona di operazioni Tucumana |
A tal fine, la F.A.A. schierò sul teatro delle operazioni
gli aerei da trasporto e da carico biturboelica Fokker Friendship/Troopship
F-27 e i quadrimotori Lockheed C-130 Hercules della 1ª Brigata Aerea. Gli
Hercules, uno dei quali, il TC-62, come si è visto fu abbattuto all'aeroporto
Matienzo, costituirono la presenza principale dell'arma fino all'ottobre del
1975, quando l'alto comando ordinò anche l'invio di unità da combattimento per dar
supporto alle truppe a terra.
La prima missione di combattimento dell'Aeronautica
Militare Argentina nella guerra di Tucumán ebbe luogo appunto nell'ottobre del
‘75, quando l'Esercito individuò un campo di guerriglieri nel fitto della
foresta e decise che, data la sua posizione, un attacco aereo sarebbe stato più
appropriato e molto meno rischioso.
Dall'aeroporto Benjamín Matienzo partirono per primi
quattro aerei biposto Beechcraft Model 45 (T-34) Mentor con la missione di
effettuare un rilievo fotografico e confermare la presenza nemica nel settore.
Una volta confermata la posizione del nemico, gli aerei
rientrarono alla base, e segnalarono che l'enclave dei sovversivi si trovava al
centro di una grande depressione ricoperta di vegetazione e che, in effetti,
l'accesso via terra sarebbe stato estremamente difficile.
Lo 8 novembre 1975, alle ore 10:00, quattro Douglas A4B
Skyhawk della 5ª Brigata Aerea di stanza a San Luis, la stessa che sette anni
dopo si sarebbe coperta di gloria nell'Atlantico meridionale, decollarono da
Villa Reynolds diretti a Tucumán.
Una volta giunti sull'obiettivo, il capo della formazione
lanciò un ordigno fumogeno per segnalarlo e consentire ai suoi tre gregari che
lo seguivano a bassa quota, di sganciare le loro bombe a frammentazione e di
sparare con i loro cannoni Colt da 20 mm.
Compiuta la missione, gli aero-assaltatori virarono verso
ovest e tornarono alla loro base, lasciandosi alle spalle l'accampamento nemico
in fiamme.[8]
Da quel momento in poi, gli A4B giunsero ad effettuare
fino a due incursioni al giorno, distruggendo numerose basi nemiche e
attaccando le colonne sovversive che si muovevano lungo il fiume Caspichango, a
ovest di Famaillá.
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Un A-4B della V Brigata Aérea si prepara a una missione |
Solitamente queste missioni venivano svolte con il supporto
di unità dell'Aviazione dell'Esercito, più precisamente gli elicotteri UH-1H
equipaggiati con lanciarazzi Albatros da 70 mm e mitragliere sparanti dai
portelli, la cui missione principale era quella di segnalare gli obiettivi con
granate fumogene.
Durante una missione di bombardamento su posizioni
nemiche, un A4B che sorvolava l'obiettivo a bassa quota fu colpito dalle
schegge di una delle sue bombe, causando danni di lieve entità.
Agli Skyhawk A-4 e ai piccoli Beechcraft Mentor T-34, che
svolgevano anch'essi missioni di attacco e bombardamento leggero, si unirono
poi i prototipi del nuovo Pucará IA-58 “Pucará” (“Fortezza” nell’idioma
Quechua) i quali fecero il loro debutto in questo conflitto.
Il Gruppo d'Intervento “Pucará”, con sede presso la base
aerea militare di Reconquista, aveva per l’esattezza iniziato le operazioni nel
settembre 1975 agli ordini del maggiore José María Ignes Rosset, responsabile
dell’addestramento del personale.
La base aerea ricevette finalmente l'ordine di preparare
i suoi quattro velivoli antiguerriglia immatricolati A-501 e A-502, usciti
dalla catena di montaggio produzione il 15 novembre 1974, e gli A-503 e A-504,
consegnati rispettivamente nell'ottobre e nel novembre 1975. Questi velivoli
erano pilotati dal vice commodoro Ignes Rosset, dal capitano Igarzabal e dai
tenenti José Vacarezza, Ricardo Grunert, Carlos Varela e Carlos Fillipi[9],
che operavano dalla Escuela de Aviación Militar de Córdoba, effettuando voli di
copertura e difesa sulle truppe in movimento via terra, completando missioni di
ricognizione, rilievi fotografici aerei e attacchi a enclave sovversive.
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Due IA-58 Pucará nel loro ambiente naturale |
L'arrivo del nuovo anno (1976) segnò una notevole
diminuzione delle azioni della guerriglia, fatto che indusse i vertici
dell'aeronautica a sospendere i voli giornalieri e ad attuare un sistema di
allerta costituito da ronde di guardia ogni 30 minuti, con aerei delle Brigate
Aeree II, IV, V e VIII, armati e pronti a decollare verso il teatro delle
operazioni, se necessario.
La Fuerza Aérea Argentina ebbe sei morti in
combattimento, e tre feriti. Un ufficiale, il Teniente Primero Honorio E.
Luzuriaga, ricevette la medaglia al valore in combattimento[10].
Ultima fase della guerra
Il 24 marzo 1976 ebbe luogo il colpo di stato che
rovesciò il governo costituzionale di María Estela Martínez de Perón e portò al
potere la giunta militare composta dal generale dell’Esercito Jorge Rafael
Videla, dall'ammiraglio Emilio Eduardo Massera e dal generale di brigata
Orlando Ramón Agosti dell’Aeronautica.
Nove giorni prima, un violento attacco era quasi costato
la vita al generale Videla, quando terroristi avevano fatto esplodere
un'autobomba carica di sfere metalliche, parcheggiata in una delle vie di
accesso al Comando General de Ejército.
L'alto ufficiale ne uscì illeso, ma rimasero feriti
gravemente quattro colonnelli e otto sottufficiali, cinque soldati e sei civili
che passavano di lì. Anche un camionista, Alberto Blas García, che in quel
momento percorreva con il suo camion l'Avenida Madero, diretto a Retiro, perse
la vita dopo essere stato colpito da numerose schegge.
Nel frattempo, la guerra a Tucumán continuava.
Il 2 aprile 1976, ebbe luogo una nuova battaglia nei
pressi del fiume Caspichango, nella quale morirono quattro sovversivi. Otto
giorni dopo, l'E.R.P. uccise il soldato Mario Gutiérrez in un'imboscata.
Il 5 maggio, il comando della 5ᵃ Brigata
di fanteria ricevette informazioni che un gruppo di individui non identificati
stava compiendo un'incursione a Santa Monica per procurarsi del cibo e ordinò
l'invio di un elicottero UH-1H con il compito di localizzare il nemico e
attaccarlo.
L'aeromobile decollò dalla base sotto il comando del
capitano Antonio Ramallo, con a bordo il tenente César Gonzalo Ledesma, il
sergente Walter Hugo Gómez, il caporale Carlos Alberto Parra e il suo parigrado
Ricardo Zárate.
L’elicottero sorvolò la zona per ore ma improvvisamente,
alle 22:00, smise di trasmettere. Il giorno dopo, il personale dell'Esercito e
della Gendarmeria Nazionale iniziarono le ricerche, confermando che
l'elicottero si era schiantato nella foresta, a 4 chilometri da Santa Lucía.
Giunti sul posto, i soccorritori raccolsero i corpi, compreso quello di Ricardo
Zárate, che era ancora vivo, ma che sarebbe morto il giorno dopo per le ferite.
L'8 maggio, un attacco a un'ambulanza a Caspichango costò
la vita al sottotenente medico Juan A. Toledo Pimentel, al sergente infermiere
Alberto Eduardo Lai e al soldato Carlos Alberto Cajal. Diciotto giorni dopo, la
guerrigliera conosciuta come “Paula”, e ritenuta responsabile dell’uccisione
del sottotenente Berdina, fu abbattuta a Yacuchina.
Nonostante continuasse a combattere, la Compañía de Monte
“Ramón Rosa Jiménez” era in stato di crisi, con i suoi ranghi di molto ridotti,
quasi disarmata e senza rifornimenti. Fu, come racconta il colonnello González
Breard, il momento in cui elementi della Juventud Guevarista (Gioventù
Guevarista) espressero la loro intenzione di unirsi volontariamente ai ranghi
della Compañía ed evitarne il collasso totale.
Ma, mentre le Forze Armate Argentine inseguivano i
guerriglieri nei boschi, la Compañía si limitò a compiere manovre evasive,
evitando costantemente il combattimento, con l'intento di mantenere la propria
presenza il più a lungo possibile.
La morte di Santucho
Il 19 luglio 1976 lo E.R.P. subì un colpo mortale. Quel
giorno, il personale dell'esercito al comando del capitano Juan Carlos
Leonetti, si presentò in un condominio situato a Villa Martelli, a pochi metri
dalla strada Panamericana e dall'Avenida General Paz, dove viveva Domingo
Menna, membro dell'ufficio politico del PRT-ERP (Partido Revolucionario de los
Trabajadores - Ejército Revolucionario del Pueblo).
Il colpo di stato argentino era avvenuto quando il gruppo
dello E.R.P. stava cercando di coordinare le proprie operazioni con i Montoneros:
un'azione volta a promuovere la fusione delle due forze in quella che sarebbe
stata chiamata la Organización para la Liberación de la Argentina (Organizzazione
per la Liberazione dell'Argentina).
In quel particolare momento, Santucho e la sua compagna,
Liliana Delfino, si stavano preparando a lasciare l’Argentina per recarsi a L’Avana,
Cuba, poiché, siccome erano stati individuati, era prevedibile che sarebbero
stati catturati a breve.
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Un'immagine (colorata) di Liliana Marta Delfino |
Le truppe dell'Esercito circondarono l'edificio ed
entrarono con cautela, dirigendosi furtivamente verso l'appartamento di Menna.
Nell'appartamento, Santucho, Benito Urteaga, Fernando Gertel, Liliana Delfino,
Ana María Lanciloto (o Lanzillotto) e il proprietario della casa
chiacchieravano spensierati, senza accorgersi di ciò che accadeva intorno a
loro.
Il capitano Leonetti intimò ai terroristi di consegnarsi, i quali però presero le armi e cominciarono a sparare.
Il capitano Leonetti cadde colpito a morte, così il suo
vice prese il controllo e guidò l'assalto. Le forze governative fecero
irruzione all'interno e uccisero tutti gli occupanti, che opposero una feroce
resistenza prima di soccombere.
Quel giorno l'E.R.P. e, di conseguenza, il suo braccio
politico argentino, il Partito Rivoluzionario dei Lavoratori, persero quasi
tutta la sua dirigenza; un fatto che, sommato al disastro di Monte Chingolo e
alla sconfitta subita a Tucumán, rese chiaro che i suoi giorni come forza
combattente e come importante organizzazione politica erano contati.
Però, mentre le truppe dell'esercito rimuovevano i corpi
dei sovversivi e dell'ufficiale ucciso, si diffuse la notizia
dell'assassinio a Wilde del generale Omar Carlos Actis, crivellato di colpi dai
Montoneros mentre si recava a tenere una conferenza. (I Montoneros però poi
negarono la loro responsabilità, dicendo che il generale Actis era stato
vittima di una faida interna alle forze armate, ndt).
La Compagnia di Montagna “Ramón Rosa Jiménez” langue
Con i suoi massimi dirigenti eliminati, l’Esercito
Rivoluzionario, sotto la guida di Enrique Gorriarán Merlo e Arnold Kremer, fu
ferito a morte e iniziò il suo lento ritiro dalla scena.
L'azione sovversiva, da quel momento in poi, sarebbe
passata nelle mani dell'organizzazione dei Montoneros, i quali intrapresero però
operazioni esclusivamente in aree urbane. Le principali furono l'assassinio del
dirigente aziendale Carlos A. Berconetti a Cordova (il 19 agosto 1976);
il tentativo di conquista del commissariato di polizia di Ringuelet (10
settembre); l'attentato a Rosario contro un autobus della polizia di Santa Fe,
in cui un'autobomba uccise undici agenti e ferì molte altre persone, tra cui
alcuni passanti (10 settembre); l'omicidio a Buenos Aires del direttore del
Banco de la Nación Argentina, Daniel A. Cash (17 settembre) e altri quattordici
attacchi nell’arco dell'anno, tra cui il tentativo di far esplodere una
bomba nel box occupato dal generale Videla e da altri alti ufficiali militari
durante un evento a Campo de Mayo.
Un attentato fu perpetrato contro il vicecapo della
Polizia della Provincia di Buenos Aires, colonnello Ernesto Trotz (che perse il
braccio sinistro); e poi vi fu il terribile attentato del 15 dicembre nella
Sala Conferenze del Sottosegretariato di Pianificazione del Ministero della
Difesa nella Capitale Federale, che causò 14 morti e 20 feriti gravi[11].
Lo E.R.P., d'altro canto, si limitò ad azioni di minore
entità, tra cui il sequestro dell'industriale Sid de la Paz (10 settembre);
l'assassinio del commodoro Adolfo Valis (9 novembre) e quello del colonnello
Francisco B. Castellano (il 29 dicembre).
Nel frattempo, a Tucumán la guerriglia, ridotta a un
piccolo numero di combattenti, versava in condizioni critiche.
Il 27 maggio 1976, la Compañía de Monte sequestrò e
giustiziò a Caspichango, davanti alla sua famiglia, l’agricoltore Marcelo
Giménez, accusato di essere un informatore del governo. Poco dopo, in un altro
scontro armato, furono uccisi sei rinforzi montoneros che erano giunti a dar
man forte allo E.R.P. e, in ottobre, il comandante della Compañía "Ramón
Rosa Jiménez", il capitano Raúl MacDonald, e altri due sovversivi furono
uccisi vicino a El Soloco.
Questo evento segnò la fine delle operazioni a Tucumán[12].
Il risultato delle azioni, che si conclusero con la
completa vittoria delle Forze Armate Argentine dopo 24 battaglie, fu di 68
campi della guerriglia distrutti, 74 guerriglieri e 18 soldati regolari uccisi
(senza contare i morti fra i civili).
Epilogo
Ci sono stati vari tentativi di paragonare le azioni dei
movimenti sovversivi europei con quelle degli eserciti rivoluzionari che
operavano in Argentina negli anni '70.
Ma le differenze nel numero di uomini, nella portata
delle operazioni e nella frequenza delle azioni dei rivoluzionari argentini
sono incommensurabili se confrontate con gli eventi sporadici e specifici che
hanno avuto luogo nelle nazioni del vecchio continente. In Europa non vi furono
attacchi o occupazioni di caserme, nessun attacco quotidiano, a volte
simultaneo e in diverse parti del Paese, nessuna zona “liberata”, nessun
affondamento di unità navali, nessun abbattimento di aerei (se si esclude Ustica,
ndt), nessuna cattura di città, nessuna esecuzione di massa.
La guerriglia argentina era addirittura più grande di
Sendero Luminoso in Perù e dello M-19 in Colombia. E lo era ancora di più se
paragonata alle azioni dei Tupamaros in Uruguay, alle guerriglie in Bolivia e
in America Centrale, o alle insignificanti azioni dei sovversivi in Cile.
La guerriglia in Argentina deve essere annoverata tra le
più sanguinose in America Latina[13].
Ciò che l’Argentina visee tra il 1970 e il 1980 fu una
guerra civile; un conflitto che nella provincia di Tucumán raggiunse quasi le
proporzioni di una guerra totale, quando lo E.R.P. cercò di conquistare parte
del territorio nazionale e di ottenere il riconoscimento presso le Nazioni
Unite, l'Organizzazione degli Stati Americani e il Patto di Varsavia.
Furono le legittime autorità governative costituzionali
che mobilitarono le Forze Armate della Nazione per combattere un nemico
spietato sia nella provincia storica di Tucumán, culla dell’indipendenza
argentina, sia nel resto del paese. E lo fecero su mandato della società, e di
un popolo terrorizzato e stanco di tanta morte e violenza. Un popolo che mai
volle lo spargimento di sangue, i rapimenti, le bombe, gli attentati o gli
agguati perpetrati in suo nome.
Il governo, che era stato eletto nel 1973, chiamò gli
argentini alla difesa della patria.
E come ha giustamente affermato Emilio Samyn Ducó(1913-1982) nel suo saggio “Los Derechos del Hombre” (“I diritti
dell’uomo”):
“La patria è la terra dei padri. È ciò che ci è stato dato in eredità. La patria è la famiglia che è diventata Dan, una tribù. Si tratta di un gruppo di famiglie unite da un vincolo di affinità religiose, razziali, culturali, ecc. Quando la patria prende coscienza di sé e si riconosce come qualcosa di diverso dagli altri, possiamo dire che si forma la nazione, in quanto la nazione è l'identificazione interna di un gruppo umano con il suo passato, il suo presente e il suo futuro. Lo Stato, invece, è qualcosa di diverso: è la società civile organizzata politicamente e giuridicamente”.[14]
Ogni vostro commento sarà, come sempre, molto gradito.
Grazie per l'attenzione,
L. Pavese
[1] Fecero seguito i decreti 2771 e
2772, che stabilivano che il Consiglio di Difesa, tramite il Ministero
dell'Interno, avrebbe firmato accordi con i Governi Provinciali, i quali avrebbero
posto sotto controllo operativo il personale e le risorse di polizia e
penitenziarie richieste dal suddetto Consiglio per un impiego immediato nella
lotta alla sovversione. Le Forze Armate erano soggette all'Alto Comando del
Presidente della Nazione, che sarebbe stato
esercitato attraverso il Consiglio di Difesa e avrebbe proceduto all'esecuzione
delle operazioni militari e di sicurezza necessarie per annientare le azioni
degli elementi sovversivi su tutto il territorio nazionale.
[2] Il campo si trovava a 14 chilometri
dal capoluogo di provincia, molto vicino alla Strada Provinciale n. 307.
[3] Ricardo
Burzaco, Op. Cit., pp. 110-113.
[4] idem
[5] Idem
[6] Idem
[7] Idem
[8] Sebbene non ne siamo certi, si
presume che gli A4B abbiano effettuato il rifornimento in volo con gli aerei
KC-130 Hercules in qualche punto lungo la rotta.
[9] http://www.clubpucarero.com.ar/ia58.htm
[10] http://www.aeromilitaria.com.ar/cmp/subversion/pagina3.htm
[11] Il 2 dicembre 1976, pochi giorni
prima dell'attacco al Sottosegretariato di Pianificazione del Ministero della
Difesa, ebbe luogo uno scontro armato a Lomas de Zamora, nel quale fu uccisa la
guerrigliera Norma Esther Arrostito, dell'organizzazione Montoneros,
sequestratrice e complice dell'omicidio del tenente generale. Gen. Pedro
Eugenio Aramburu.
[12] Il giorno dopo, altri sei
guerriglieri del plotone di MacDonald furono uccisi in combattimento mentre
fuggivano attraverso la boscaglia.
[13] John Pimlott, Ian Beckett, David
Johnson, Nigel De Lee, Peter Reed, Francis Toase; Guerra de Guerrillas,
Ediciones Fernández Reguera, Bs. As. 1987.
[14] Ciclos de Cultura y Ética
Social, 27 de septiembre de 2006.
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