Il Proiettile di Al





Al Mooney era nato il 12 aprile del 1906 da un padre che progettava e costruiva quei ponti ferroviari del Far West, sorretti da tralicci di legno, che si vedono nei film americani, e che trasmise a lui e al fratello Art le sue conoscenze prima ancora che i ragazzi si iscrivessero al college.

Al pensava di iscriversi alla Scuola Mineraria del Colorado (ma già stava lavorando alla costruzione di un aereo che aveva progettato) quando, nel 1924, mentre stava aiutando suo papà a costruire una casa, gli passò sulla testa un biplano Alexander.
Al andò al campo di aviazione a vedere l’aeroplano, e si accorse che le ali del biplano non erano propriamente allineate. J. Don Alexander, il costruttore del biplano, gli offrì un lavoro; e il resto, come si dice, è storia.


Al Mooney

Al Mooney è uno di quegli uomini il cui nome rimarrà per sempre legato alla storia dell’aviazione generale; ma non tutti sanno che il nome del famoso progettista americano è anche legato alla storia dell’aviazione italiana: c’è la sua mano infatti nei primi Airbus, quelli di Giuseppe Bellanca (che anche se si era trapiantato negli Stati Uniti era pur sempre un siciliano), i quali saranno oggetto di una prossima traduzione e, verso la fine della sua carriera, lavorò anche al Lockheed AL-60 (poi prodotto da Aermacchi).


La seguente è la traduzione di un capitolo tratto dal quarto volume del libro U.S. Civil Aircraft Series di Joseph P. Juptner, che riguarda un progetto di Mooney per la Alexander Aircraft, che non ebbe tanta fortuna, ma i cui geni sopravvivono sicuramente nel Mooney M.20, il "velocista" per eccellenza dell’aviazione generale.

I vostri commenti saranno, come sempre, molto graditi.
Grazie,
L. Pavese




Un moderno M.20 (robbreport.com).
Se lo si paragona al Bullet C-7 della foto di testa, il lignaggio è palese. 

 
L'Alexander Bullet (il proto-Mooney)
di Joseph P. Juptner e L. Pavese


Alla maggior parte dei conoscitori degli aerei americani degli anni 1920, il nome dello Alexander “Eaglerock” evoca l’immagine di un grande e aggraziato biplano, che si libra lento e placido sulle sue ali leggermente caricate; ali che potrebbero portarlo in alto fra le cime delle montagne, o posarlo con gentilezza sul fondo di una valle.
Quindi potrebbe anche sembrare strano abbinare il marchio Alexander  con una velocista quale era il “Bullet”: un altro di quei velivoli ad aver avuto la sfortuna di essere molto più avanti del suo tempo.
Benché fossero di mentalità molto pratica (e infatti avessero costruito e messo in commercio un aereo multi-impiego molto pratico quale lo Eaglerock), i progettisti della Alexander (primo fra tutti Al W. Mooney, che darà poi il suo nome a una serie di notissimi aerei) trascorrevano anche molto del loro  tempo a cogitare il futuro dell’aviazione generale e a immaginare cose fra le più esaltanti. Le loro visioni a poco a poco si condensarono in un disegno ben preciso, dal quale poi ebbe origine il Bullet.
Presentato al pubblico aeronautico in occasione delle corse aeree (National Air Races) del 1929, il Bullet fu esibito al salone e poi in azione, suscitando un interesse raramente sentito; e in gara il velocissimo Bullet dimostrò subito di essere foriero di innovazioni che si sarebbero viste solo anni dopo.
Pilotato da Errett Williams, il Bullet (con motore Wright J6 da 165 hp) arrivò primo al Derby Philadelphia-Cleveland, in testa a un campionario di aerei che si sforzavano di inseguirlo a più di un’ora di distanza. Poi giunse primo nella categoria dei 720 pollici cubici (11,8 litri) di cilindrata, alla media di km/h 216,6 (117 nodi); primo nella gara di velocità per il Trofeo dello Aviation Town & Country Club con km/h 215,2 (116,2 nodi) e poi volò alla media di km/h 213 (115 nodi) e km/h 215,65 (116,4 nodi) in due corse delle Australian Pursuit Races, nelle quali i velivoli più veloci erano handicappati facendoli partire ultimi.
Edith Foltz, l’attraente aviatrice del grande Nord-Ovest, pilotò un Bullet con motore Kinner da 100 hp (lo stesso dello S-56) piazzandosi al settimo posto in classifica generale, e al secondo posto nella sua categoria, nel Woman’s Derby (la gara femminile) da Santa Monica, California, a Cleveland Ohio.


Il Bullet di Edith Foltz, con motore Kinner da hp 100,
nello Air Derby femminile del 1929


Più tardi, nell’ottobre del 1930, la signora Miller, una vivace aviatrice il cui grande talento era racchiuso nella sua  piccolissima statura, la quale aveva acquistato il Bullet pilotato da Errett Williams, lo portò in volo attraverso gli Stati Uniti, da New York a Los Angeles, in 25 ore e 44 minuti; e tre giorni dopo ritornò a New York in 21 ore e 47 minuti (grazie al vento in coda).
Normalmente, prestazioni come quelle dimostrate di continuo dalla flotta dei Bullet avrebbero generato una cascata di richieste di informazioni e di ordinazioni; e il futuro dell’aereo sarebbe stato assicurato. Invece, il futuro dello Alexander Bullet prese subito una strana piega con misteriosi e inspiegabili aspetti. Di tanto in tanto circolavano chiacchiere su presunti problemi al carrello retrattile (una delle tante innovazioni il cui meccanismo non era stato ancora perfezionato); e voci sul comportamento traditore e sulla imprevedibile natura del velivolo. Tutto ciò naturalmente era solo chiacchiericcio da hangar, che avrebbe dovuto essere preso cum granum salis. Ma il Bullet aveva anche acquisito la reputazione di avere delle caratteristiche di avvitamento pericolose; e ciò, all’inizio, per certi versi poteva anche essere vero; ma un continuo lavoro di ricerca e sperimentazione aveva finalmente migliorato questo aspetto, al punto che il comportamento dell’aereo era certamente accettabile, alla luce delle conoscenze, che si avevano allora, del fenomeno della vite. Riflettendoci, fu un vero peccato che la reputazione affibbiata al Bullet fece sì che tanti ne stettero alla larga; e la sua carriera, che era parsa così promettente fu lasciata invece in sospeso fintantoché la depressione economica degli anni trenta non vi pose fine.


Il prototipo originario  del Bullet, nella configurazione qui presentata, fu disegnato da Al W. Mooney, ed era un progetto rivoluzionario che si proponeva di stabilire uno standard totalmente nuovo, in termini di prestazioni e utilità nell’impiego. Come tutti i progetti pionieristici, soffrì, all’inizio, di un serie di problemi. Quando fu esposto per la prima volta al Detroit Air Show, nell’aprile del1929, l’entusiastico interesse  che suscitò incoraggio però i ideatori a continuarne lo sviluppo, con la speranza di riuscire a risolvere tutti i problemi, che poi erano per la maggior parte di natura meccanica.
Due nuovi esemplari del Bullet (uno con un motore Kinner K5 a cinque cilindri da 100 hp, e l’altro con un Wright J6 a cinque cilindri da 165 hp) già mostrava i miglioramenti nel meccanismo del carrello retrattile e alcune piccole modifiche all’aerodinamica.
Questi ultimi erano i due aeroplani che Edith Foltz e Errett Williams piloteranno con tanta abilità alle National Air Races del 1929. Williams, il quale aveva volato a lungo con un Eaglerock “combo-wing”, con motore OX-5, passò al Bullet con enorme entusiasmo; e la transizione da un aereo all’altro deve essere stata a dir poco esilarante.
Al Mooney, il versatile ideatore del Bullet, lavorò sodo per riconfigurare la sua creatura, in vista dei collaudi per l’emissione del certificato di aeronavigabilità; ma diede le dimissioni dall’azienda, dopo che Ludwig Muther (già con la Fokker e la Junkers in Europa, e con la Keystone negli Stati Uniti) fu invitato per aiutare con il progetto. Herr Ludwig Muther, spesso indicato come co-progettista del Bullet, dovette apparentemente lavorare molto duro per risolvere alcuni dei problemi inerenti al progetto. Più tardi, Muther collaborò anche con il Professor Max M. Munk, noto esperto di aerodinamica, per cercare di arrivare a una soluzione definitiva e accettabile.
Un’autorizzazione Group 2 (numero 2-181) fu emessa per il Bullet il 18 febbraio 1930; e un certificato (ATC numero 318) il 6 maggio 1930, quando il Professor Munk aveva già lasciato l’azienda per aprire un ufficio di consulenza a New York.
Finalmente lo Alexander Bullet si era conquistato il suo certificato; ma sfortunatamente il mercato dell’aviazione generale stava già precipitando, e tutto quel lavoro preparatorio, a tratti sfiancante, era stato quasi del tutto inutile.
Anche se il Bullet non aveva però ancora raggiunto uno stadio di sviluppo che potesse considerarsi un completo successo, non c’è alcun dubbio che avesse già lasciato un segno indelebile nella tecnica della progettazione aeronautica, e che avesse orientato la continuazione delle ricerche in configurazioni aeronautiche simili, da parte di altri progettisti.
Lo “spirito” del Bullet s’invola senza dubbio con molti degli aerei cabinati monoplani di progettazione successiva.
Le forme del Bullet, così com’era stato concepito in origine da Al Mooney, andarono a riflettersi più tardi nei modelli Mooney AX e A-1 del 1930,  e per certi versi anche negli altri progetti Mooney del “Monoprep” e “Monosport”, monoplani ad ala bassa sviluppati dalla Lambert Aircraft Corp. (la ex Monocoupe Corp.); progetti che poi diventeranno noti col nome di Culver “Dart”.
La serie del Bullet, sviluppato nel tardo 1928 e presentato nel 1928 allo Air Show di Detroit, prevedeva l’offerta di aerei di varie dimensioni, che sarebbero stati designati in numerazioni che si rifacevano al calibro delle armi da fuoco: modello .22, .32, .45 e così via (nei calibri americani si mette il punto decimale prima del numero, per indicare i centesimi di pollice). Il modello .22 era un biposto, con un motore da circa 60 hp. Il modello .32 sarebbe stato un quadriposto con motori da 150 a 165 hp; e il proposto modello “di lusso” .45 era un quadriposto che avrebbe montato motori da 300 hp.
Se fosse mai stato costruito, vi erano ottime possibilità che il modello .45 avrebbe offerto velocità dell’ordine delle 200 miglia orarie.
Ma a causa dei vari problemi, lo sviluppo della serie dei Bullet alla fine venne ristretto solo a una versione quadriposto, con un motori nella gamma fra i 150 hp e i 165 hp, offerta con uno Axelson B-150 e con il Comet 7-E da 165 hp in alternativa al motore Wright J6 (R-540 di in³ 540). Dopo aver scartato la designazione secondo il calibro, i modelli Bullet divennero C-1, C-3, C-5 e C-7. Il modello C-5 era il modello che Errett usò nella corsa del 1929;  e il modello C-7 era la versione finale, approvata, alla quale fu assegnato il già menzionato certificato ATC numero 318, e che fu il primo monoplano a ricevere una certificazione da un’agenzia dell’aviazione civile.



Un Bullet C-5, con motore Wright J6 (cc 8849) e carrello retrattile.



Lo Alexander Bullet Modello C-7 era un monoplano cabinato ad ala bassa a sbalzo, di proporzioni avvenieristiche, e con una disposizione interna che accomodava comodamente quattro persone e un cane, più il loro bagaglio.
Progettata in forma di monoplano a sbalzo principalmente per combattere la resistenza parassita, la configurazione ad ala bassa del C-7 fu scelta anche per fornire le cavità in cui alloggiare il carrello retrattile: le ruote si ritraevano elegantemente nell’intradosso dell’ala; e ciò contribuiva di per sé ad incrementare la velocità massima di quasi 16 nodi. La fusoliera era anche sagomata come un profilo alare, per offrire la minima resistenza e incrementare la portanza; ma pare che la geometria dei primi modelli riducesse l’efficacia dei controlli aerodinamici di coda (in certi assetti) e gli furono imputate le già menzionate negative caratteristiche nell’avvitamento.



Un'altra foto dello stesso C-5 che mostra il profilo aerodinamico della fusoliera

 
Ciò venne comunque parzialmente risolto con un allungamento notevole della fusoliera e la riprogettazione dell’impennaggio di coda.
I carrelli retrattili non erano certamente una grande innovazione; perché gli aerei anfibi già ne facevano uso da parecchi anni; ma un carrello a scomparsa totale, alloggiato completamente nell’ala per eliminarne totalmente la resistenza, era una cosa completamente nuova; e lì stava il problema. Infatti, la maggior parte delle difficoltà che la Alexander incontrò con questo aereo avevano semplicemente a che fare con la meccanica. Il problema del carrello retrattile fu risolto in maniera accettabile; ma alla fine il Bullet fu anche offerto in versione a carrello fisso e carenato. L’installazione del carrello fisso era molto affusolata e racchiusa da grandi carenatura metalliche per ridurre la resistenza al minimo; e il carrello retrattile fu offerto in opzione. La differenza in velocità fra le due versioni era di circa 10 nodi. In una cabina di dimensioni generose c’era molto spazio per quattro persone di grande stazza, in un arredamento di lusso; l’abbondanza di finestratura garantiva anche una visibilità eccellente in tutte le direzioni.
Secondo gli standard dell’epoca, le prestazioni con il motore da 165 hp (kW 123) erano eccezionali; e l’efficienza del Bullet non fu eguagliata da molti aeroplani per molti anni a venire.
Il certificato di aeronavigabilità per il modello C-7 del Bullet, con motore Wright J6 a cinque cilindri, fu emesso il 6 maggio 1930; e da alcuni resoconti risulta che la Alexander Aircraft ne costruì almeno venti; anche se un controllo delle registrazioni non lo conferma.
Il presidente dell’azienda era il geniale J. Don Alexander; D.M. Alexander era il Vice-presidente e amministratore delegato. J.A. Mc Inaney era il responsabile delle vendite; Ludwig Muther era l’ingegnere capo e Garland Powell Peed Junior era il pilota collaudatore al quale, di tanto in tanto, veniva assegnato il ruolo di ingegnere progettuale.
Era stato Powell Peed a iniziare il biplano “Eaglerock” nel circolo ristretto degli aerei commerciali che avevano eseguito la difficile e pericolosa manovra del looping rovescio.


Di seguito troverete un confronto fra le caratteristiche dello Alexander Bullet modello C-7 con motore Wright J6 (R-540), e il precedente modello C-5 con motore di potenza equivalente.



Modello C-5
Modello C-7
Motore
Wright J6 165 hp
165 hp
Lunghezza
m 6,55
m 8,17
Altezza
m 2,51
m 2,36
Apertura alare
m 11,76
m 10,97
Corda massima alla radice
m 1,90
m 2,13
Superficie alare
m² 18.76
m² 19,32
Peso a vuoto
kg 590,57
kg 774,73
Carico utile
kg 498
kg 490,78
Carico utile
con 151,41 litri di carburante (40 galloni americani)
kg 296,19
con 155,20 litri di carburante (41 galloni americani)
kg 283,49
Peso massimo al decollo
kg 1088,62
kg 1265,52
Velocità massima
> Nodi 130
Nodi 128,60
Velocità di crociera
Nodi 111,22
Nodi 108,62
Velocità di atterraggio (Vs1)
Nodi 39
Nodi 41,71
Rateo di salita
838 piedi al minuto, al livello del mare
700 piedi al minuto, al livello del mare
Quota di tangenza
15000 piedi (m 4572)
15000 piedi (m 4572)
Capacità carburante
l 151,4 - 265
l 155,20
Capacità olio
l 18,9- 26,5
l 19
Raggio di azione alla velocità di crociera
km 550-900
km 869 al flusso di
l/h 34



                         
                      
La versione del C-5 con motore Kinner K5 da 100 hp era simile al sopracitato modello C-5, fatta eccezione per le seguenti caratteristiche:


Peso a vuoto: kg 557
Carico utile: kg 483
Carico utile con l 151,4 di carburante: kg 281
Peso massimo al decollo: kg 1040
Velocità massima: Nodi 113
Velocità di crociera: Nodi 96,4
Velocità di atterraggio (Vs1): Nodi 36,5
Rateo di salita al livello del mare: 640 piedi al minuto (m/s 3,25)
Quota di tangenza: piedi 11000 (m 3353)



Il prototipo del C-1, quadriposto, motore Kinner da hp 100 (kW 74,5)



La struttura della fusoliera era fabbricata in tubi di acciaio al cromo-molibdeno saldati, e gli veniva data la forma con listelli e con l’aggiunta di parti che tendevano e affusolavano la tela, la quale ricopriva il tutto.
Le pareti interne della cabina erano rivestite in materiale isolante Fabrikoid (una sorta di finta pelle introdotta da DuPont, usata moltissimo anche nelle automobili ndt); e le dimensioni interne dell’abitacolo garantivano ampio spazio per tutti. I sedili erano rivestiti in vera pelle con le cuciture, tutte le parti metalliche e le imbottiture di pari ricercatezza.
I controlli erano a doppio comando a cloche; e i sedili frontali regolabili per adeguarsi alla lunghezza delle gambe degli occupanti.  
La superficie finestrata era stata progettata per garantire un’ottima visibilità dal posto di pilotaggio; un lucernario nel tetto della parte anteriore della cabina offriva visibilità verso l’alto, ma fungeva anche da portello di uscita di emergenza a sgancio rapido.
Una porta garantiva facile accesso alla cabina delle dimensioni di m 1,21 x m 2,9 x m 1,21, e il bagaglio poteva essere riposto in un vano nella cabina del volume di 113,2 litri.


La struttura a sbalzo dell’ala era divisa in tre sezioni, fabbricate con un longherone a scatola in abete e compensato e centine di abete con struttura a traliccio. I bordi di entrata dell’ala erano completamente rivestiti da un foglio di compensato, e tutta la struttura era interamente rivestita in tela.
La porzione centrale dell’ala, di corda e spessore costante, era imbullonata direttamente al fondo della fusoliera. Le sezioni esterne erano rastremate e assicurate alla porzione centrale.
L’ala era interamente a sbalzo, e non aveva bisogno di controventatura esterna.
I serbatoi di carburante erano montati nella sezione centrale dell’ala, e le zampe del carrello si ritraevano in pozzetti ricavati nell’intradosso alare.
Il carrello d’atterraggio fisso, che era, come abbiamo detto, un’opzione, aveva un passo (un’ampiezza) di m 1,98, con zampe a sbalzo ad ammortizzazione idraulica racchiuse in carenature di metallo affusolate.


Un bellissimo C-7 con carrello fisso carenato, e motore Wright J6.

I pneumatici erano 3 x 5 e i freni Bendix erano equipaggiamento standard.
L’impennaggio, interamente rivestito in tela, era costruito in tubi saldati di acciaio al cromo-molibdeno ed era totalmente a sbalzo. Per essere in grado di compensare in quasi tutte le condizioni, lo stabilizzatore orizzontale poteva essere “trimmato” in un arco di rotazione molto ampio (piuttosto “estremo”, dice il testo americano, ndt).
La dotazione standard comprendeva un’elica metallica, luci di navigazione e un motorino di avviamento a inerzia e a manovella.                 

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