Un Viceré per l'Abissinia

Nevil Shute (1899-1960) non è forse un autore molto conosciuto in Italia.

In realtà, il suo vero nome era Nevil Shute Norway. Aveva parzialmente occultato la sua identità perché, quando cominciò a scrivere romanzi nel suo tempo libero (si parla dei primi anni 1920), temeva che qualcuno l’avrebbe considerata una attività disdicevole per un ingegnere aeronautico britannico che lavorava per una grande azienda.

Il suo romanzo più famoso e più bello (anche se tetro) è probabilmente L’ultima spiaggia (On the Beach, 1957), dal quale fu tratto anche un film dallo stesso titolo, con Gregory Peck ed Ava Gardner, diretto da Stanley Kramer.

Agli inizi della sua carriera di ingegnere aeronautico, Shute lavorò alla costruzione del grande dirigibile rigido R 100 e successivamente divenne un dirigente della Airspeed Ltd, una sussidiaria della de Havilland; un’azienda che poi divenne famosa in ambito aeronautico per aver realizzato l’aliante da trasporto AS.51 Horsa, impiegato negli aviosbarchi della seconda guerra mondiale.

Nella sua autobiografia, Slide Rule (1954) Shute racconta un fatto accaduto  nel 1935, quando appunto era un manager della Airspeed Ltd. Nel libro è quasi un episodio marginale, ma il fatto è molto interessante se inquadrato nella storia italiana del periodo.

Per quanto ne sappia io, il libro non è mai stato tradotto in italiano.

Ho tradotto io le pagine nelle quali si racconta l’episodio, e spero che le troverete interessanti.

Ogni commento, come sempre, sarà molto gradito.

Grazie,

L. Pavese


Nevil Shute Norway

 L’antefatto.

Nell’ottobre del 1934 ebbe luogo la grande corsa aerea, nota anche come il trofeo MacRobertson, fra l’Inghilterra e l’Australia.

La Airspeed Ltd aveva ricevuto una commessa per una versione speciale del bellissimo bimotore Envoy (emissario, ambasciatore), da parte di un famoso pilota (che Nevil Shute non nomina nel libro) il quale voleva partecipare alla corsa. (Un'immagine dell'Envoy è sotto al titolo di testa e ce n'è anche una qua sotto).



Per la precisione, il pilota avrebbe voluto solo noleggiare l’aereo, perché era a corto di quattrini ed era in grado di versare solo un acconto di 1000 Sterline.

La macchina fu dotata di due motori Armstrong Siddeley Mark VI, e aveva un grande serbatoio supplementare di benzina in fusoliera per estenderne l’autonomia.

Si trattava di una versione talmente diversa dall’Envoy che i costruttori lo ribattezzarono Viceroy (Viceré).

Il pilota incontrò enormi difficoltà nel raccogliere i fondi per il volo. Alla partenza, secondo Nevil Shute, “egli era un uomo esausto e molto preoccupato”.

Il brutto tempo sull’Europa ebbe ragione di lui. Dovette atterrare varie volte, e alla fine si ritirò ad Atene, da dove intentò una causa contro la Airspeed per presunti difetti (di pochissimo conto) dell’aeromobile che, secondo lui, gli erano costati la corsa.

La Airspeed fu costretta ad andare in tribunale per difendere la propria reputazione, e vinse la causa. L’aereo fu restituito ai costruttori.

Il Viceré ritornò alla sua casa natale nel regno d'Inghilterra.

Ma nel destino di questo Viceré vi era un altro trono...



Il Viceré si presenta in pubblico


Un Viceré per l’Abissinia

Di Nevil Shute

 

L’episodio successivo della storia del Viceroy è interessante, in quanto indicativo del tipo di attività che si sarebbe sviluppata nei prossimi anni a venire.

L’apparecchio ci fu restituito, in seguito alla causa, verso gli inizi dell’estate del 1935, e rimase nel retro dell’hangar per alcuni mesi.

Durante l’autunno, fummo avvicinati da un’organizzazione di sedicenti commercianti in aeromobili di Croydon, diretta da un personaggio che chiamerò Jack Norman, il quale aveva un cliente che voleva acquistare il Viceroy.

Questo cliente, ci disse Jack Norman, era il proprietario di un’azienda denominata Yellow Flame Distributors Ltd, l’attività della quale consisteva nel trasporto rapido di pellicole cinematografiche fra le varie capitali europee. Per quel tipo di servizio, il Viceroy, il nostro aereo da corsa a lungo raggio, era esattamente ciò che avevano in mente, ed erano disposti a pagare un ottimo prezzo.

Io, naturalmente, ero deliziato all’idea di sbarazzarmi di quell’elefante bianco. Jack Norman versò un acconto e noi iniziammo a revisionare il Viceroy e a prepararlo per il volo.

Alcuni giorni dopo, Jack Norman apparve nel mio ufficio e mi disse che le pellicole cinematografiche erano cose molto infiammabili da trasportare in un aeroplano, e che i suoi clienti  erano un po’ preoccupati.

Non avremmo potuto montare delle rastrelliere per bombe sotto le ali, per caricarvi le pellicole?

Allora era già scoppiata la guerra fra l’Italia e l’Abissinia, e le armate di Mussolini stavano invadendo le terre dell’Imperatore Hailé Selassié respingendo il suo primitivo esercito di colore verso la capitale. Dissi a Jack Norman che non avrei montato nessuna rastrelliera per bombe e che stavo vendendo un aereo civile il quale sarebbe stato consegnato sul nostro aeroporto di Portsmouth ad un’azienda britannica.

Allora Norman mi chiese se non avessimo potuto installare, sotto le ali, un certo tipo di viteria per mezzo della avrebbero potuto appendere tutto ciò che desideravano. Accettai di farlo.



Trittico del Viceré


L’altra cosa che mi chiese Jack Norman fu se il pilota del Viceroy non avrebbe potuto volare sul nostro Envoy di rappresentanza, con al fianco  il nostro pilota Colman, al fine di familiarizzarsi col tipo di aeroplano. Questa era una richiesta sensata, che accordai immediatamente.

Jack Norman poi disse che vi erano difficoltà con il pilota, perché questi non aveva il passaporto. Era apolide. Era un tedesco di nascita e si chiamava, facciamo finta, Ernst Schrader. Herr Schrader era stato un pilota dell’aerolinea tedesca Lufthansa il quale, un giorno, in una birreria,  aveva menzionato il nome di Adolf Hitler in modo poco rispettoso. Il giorno dopo la sorella gli aveva telefonato all’aeroporto, in preda al panico, per dirgli che la Gestapo era venuta a casa loro a cercarlo.

Schrader stava per partire in volo con un’aeromobile dell’aerolinea con destinazione Amsterdam, e non s’attardò. Ad Amsterdam aveva dato  le dimissioni dalla Lufthansa. Ed ora era in Olanda, con pochissime possibilità di ottenere un passaporto tedesco. Non avremmo potuto mandare l’Envoy di rappresentanza ad Amsterdam? Dissi di no.

Poco dopo fecero materializzare Herr Schrader all’aerodromo di Portsmouth per pilotare l’Envoy, cosa che lui fece considerevolmente bene: era chiaramente un ottimo pilota e un uomo di grande esperienza. Fu fatto svanire immediatamente dopo che il volo era terminato, e non ebbi la possibilità di conversare con lui. Colman, però, venne nel mio ufficio subito dopo la partenza del gruppo. Era stato a Berlino per nostro conto qualche settimana prima, e aveva fatto la conoscenza di uno dei più famosi piloti tedeschi del tempo, che chiameremo Weiss. Colman era convinto che quell’uomo e Weiss fossero la stessa persona.

Mi parve che fosse giunta l’ora di mettere le carte in tavola con Jack Norman, e gli dissi che non avrei concluso la vendita dell’aereo, a meno che non mi avesse accordato la sua fiducia, e forse nemmeno in quel caso. Dopo che Norman si fu consultato con i suoi principali, mi venne svelato il segreto.

L’esercito di Hailé Selassié non aveva nessuna speranza di resistere gli invasori italiani del suo paese, a meno che non gli fossero arrivati equipaggiamento ed armi moderne. L’Imperatore aveva a disposizione la patetica somma di £ 16000(Sterline) da spendere per aeromobili moderne con le quali difendere il paese. Con queste stava acquistando il Viceroy, per £5000, e il resto sarebbe stato speso per comprare, credo, tre caccia Gloster Gladiator per cercare di abbattere gli aerei italiani che stavano tormentando le sue truppe. Tutte e quattro le macchine sarebbero state naturalmente pilotate da mercenari europei.



Il compito del Viceroy sarebbe stato di bombardare i depositi di combustibili italiani di Massaua, Eritrea, e così facendo arrestare l’avanzata delle forze meccanizzate italiane.

Il Viceroy era molto più veloce di ogni aereo di cui allora disponevano gli Italiani in Abissinia; e sarebbe stato certamente in grado di compiere la missione. Era necessario, però, mantenere la completa segretezza; perché se gli italiani lo fossero venuti a sapere avrebbero certamente inviato una squadriglia di caccia di prima linea a difendere Massaua, col risultato che il Viceroy sarebbe stato certamente abbattuto.

In quel periodo, le operazioni militari in Abissinia erano state fermate dalla stagione delle piogge; la macchina avrebbe fatto ancora in tempo a raggiungere Addis Abeba e portare a termine la sua missione, prima che ricominciassero le ostilità.

L’Imperatore aveva ancora un pochino di denaro da spendere, e Jack Norman stava acquistando bombe e armi leggere per suo conto, che in qualche modo dovevano essere spedite in Abissinia, probabilmente per via della Somalia Francese o Britannica.

Jack Norman s’era recato in Finlandia, dove vi aveva acquistato bombe e rastrelliere per bombe; e aveva anche comprato una certa quantità di mitragliatori al fine di riequipaggiare il primitivo esercito dell’Imperatore.

Credo che il Viceroy avrebbe dovuto trasportare buona parte di questo materiale ad Addis Abeba, in una tappa del viaggio; e per evitare di essere notati dagli italiani il Viceroy avrebbe volato di notte, facendo rifornimento una volta in un punto segreto di atterraggio nell’area mediterranea.

Quindi, Jack Norman mi telefonò un giorno e mi chiese se il pilota non avrebbe potuto fare ancora un po’ di pratica di volo notturno sul nostro Envoy. Era sensato, in considerazione del grande pericolo che stava per affrontare; e io acconsentii, dopo aver pattuito naturalmente che avrebbe dovuto esserci anche Colman. Dopodiché Jack Norman aggiunse, un po’ timidamente, che il pilota tedesco aveva cambiato nome.

“Ci avrei scommesso,” dissi io. “E come l’ha cambiato? In Weiss?”

“Oh no,” si affrettò a dire. “Lui non c’entra niente con Weiss.” Poi mi spiegò che ora il pilota era un suddito abissino, e che gli era stato fornito un passaporto abissino; perciò tutto era regolare. In Abissinia era normale mettere il nome di famiglia per primo; quindi aveva mutato il suo nome da Ernst Schrader a Schrader Ernst.

“Per me va bene,” dissi io. “Schrader o Weiss o Ernst. Portalo qui, e può fare un paio d’ore di volo notturno con Colman.”

Il pilota venne e fece un paio d’ore di pratica di atterraggi notturni alla luce di una pista illuminata; e poi ci fu immediatamente sottratto permezzo di una veloce auto in vero stile spionistico.

La mattina dopo, un agente in borghese del CID (Criminal Investigation Department) era nel mio ufficio, e desiderava sapere tutto riguardo a un pilota straniero il quale, durante la notte, aveva pilotato uno dei nostri aerei sopra le installazioni portuali di Portsmouth.

Non c’era nient’altro da fare eccetto raccontargli tutto; ormai avevo buoni motivi per credere che il Foreign Office sapesse tutto dell’impresa, e che la vedesse di buon occhio.

L’agente del CID se ne andò, e non ci diede più fastidio; ed io rimasi lì a chiedermi chi avesse spifferato, e se lo spiffero fosse giunto alle orecchie degli italiani. In quel periodo, in Inghilterra c’era un forte sentimento anti-italiano e a favore dell’Imperatore abissino. Non credo che nessuna barriera sia mai stata stata eretta, da nessun organo ufficiale, per ostacolare le attività di Jack Norman.

Dopo tanti sforzi, fu un peccato se questa operazione ardimentosa fallì. Far arrivare le forniture di bombe e il carburante in tempo in Abissinia risultò impossibile. Le ostilità ricominciarono a gennaio, e prima della fine di aprile l’Imperatore era stato sconfitto. Il 2 di maggio si imbarcò su una nave da guerra britannica e fu trasportato in Inghilterra, mentre gli italiani occupavano il suo paese.            

Il Viceroy non aveva mai lasciato il nostro stabilimento.



Per quel che ricordo, l’aereo era stato terminato e pagato; ma restava in fabbrica finché non fosse arrivato il momento giusto di portarlo in Abissinia; perché non volevano che fosse notato su un aeroporto pubblico.

Credo che fosse stato lasciato in nostre mani al fine di essere venduto per conto dell’Imperatore, il quale era in esilio in Inghilterra e viveva a Cheltenham.

Fu rivenduto molto presto.

Un’altra corsa aerea da Londra a Johannesburg fu annunciata nell’ottobre del 1936; e due famosi piloti britannici, Max Findlay e Ken Waller, si assicurarono i fondi per prender parte alla competizione e ci contattarono per acquistare il Viceroy.

Erano un team molto forte, perché la macchina era molto veloce e in grado di trasportare un equipaggio di quattro persone, compreso un radio-operatore. Erano considerati i più probabili vincitori della corsa.

Nel luglio del 1936, però, scoppiò la guerra civile spagnola; e un agente di una qualche nazionalità continentale europea li contattò per comprare il Viceroy. Gli dissero che la macchina non era in vendita.

Fra amici, disse lui, tutto si sarebbe potuto sistemare.

Gli dissero che non gli interessava la sua amicizia.

Lui disse che non era il modo quello di parlare fra amici. Sapeva quanto avevano pagato la Airspeed per acquistare l’aereo. Cinquemila sterline.

Gli dissero che non era affar suo. Avrebbero pilotato il Viceroy nella corsa per Johannesburg e avrebbero vinto il primo premio. La macchina non era in vendita. Ora, non avrebbe fatto loro il favore di andarsene e di smettere di fargli perdere tempo.

Lui disse che il primo premio della corsa erano quattromila sterline. Quattromila più cinquemilacinquecento fa novemilacinquecento; sicché non avrebbero neanche dovuto volare e avrebbero recuperato il costo della benzina. Gli avrebbe fatto un assegno subito.

Accettarono, incassarono l’assegno e videro che tutto ciò era buono. Consegnarono all’acquirente il Viceroy, il quale decollò alla volta della Francia senza indugi e sparì...




Il Viceré volò verso la Spagna in guerra, ma non per dar man forte a chi voleva restaurare la monarchia.

La foto sopra lo ritrae mentre serviva nell’aviazione repubblicana spagnola.

 

Dal racconto di Nevil Shute è ovvio che sua maestà britannica guardava con favore alla militanza del suo Viceré in difesa del trono del Leone di Giuda; per mettere un bastone, o meglio uno scettro, fra le ruote dei piani di Benito Mussolini. D’accordo con i tedeschi. (La storia del pilota fuggito dalla Germania è ridicola).

Fatemi sapere cosa ne pensate.

I vostri commenti saranno, come sempre, molto graditi.  

Grazie,



L. Pavese

  

 

 

 

 

 

 

 






 

 

 

 

 

 

 

 

       

 

     

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