L'atterraggio sulle ruote


Scottish Aviation Twin Pioneer (flugzeuginfo.net)

Questa è la traduzione di un capitolo del libro di Harvey S. Plourde, The Compleat Taildragger Pilot. (Ed è un post per piloti che dà molte nozioni per scontate; per cui se non vi interessano le questioni relative al pilotaggio d'aeroplani, siete autorizzati a saltarlo a pie' pari). L'autore del libro lo aveva pubblicato indipendentemente per la prima volta nel 1991, ma da allora è stato ristampato almeno nove volte. Per quanto mi riguarda, è il miglior manuale in inglese sul pilotaggio degli aerei  a carrello biciclo, e comprende anche un capitolo dedicato agli istruttori.
Se la "lezione" avrà successo, come spero, tradurrò i capitoli più importanti e li pubblicherò sul blog.
I vostri commenti e suggerimenti saranno sempre molto graditi. E cercherò di soddisfare ogni richiesta di chiarimenti. Ricordate che ogni buona lezione di volo comincia a terra.
Grazie.
L. Pavese
 

Siamo così giunti a quella manovra che, senza dubbio, è considerata la più difficile da imparare dai piloti che stanno facendo la transizione dall’aereo con carrello triciclo anteriore: l’atterraggio sulle ruote. Beh, tutti gli atterraggi si fanno sulle ruote direte voi. Sì, ma in questo caso vuol dire che l’aereo atterra sulle ruote del carrello principale (non sempre sue due, perché in caso di vento al traverso la ruota sopravvento tocca per prima; ma quello lo vedremo in seguito). Qualcuno lo ha definito l’atterraggio “arrotato”; ma forse la definizione migliore sarebbe “su due punti”. In ogni caso, se conoscete una traduzione migliore di “wheel landing” (cioè la definizione in inglese di questo tipo d’atterraggio), sono permeabile ai vostri suggerimenti.


Così si fa


   
La pazienza che si richiede a entrambi, lo studente e l’istruttore, per quanto riguarda l’insegnamento e l’apprendimento  di questa manovra, è così tanta che molte transizioni al biciclo vengono interrotte (o abortite, sarebbe una parola migliore) dopo una dozzina circa di tentativi, col commento finale dell’istruttore che dice: “Vada, continui a fare l’abitudine alle sensazioni dell’atterraggio sui tre punti, e poi dell’atterraggio sulle due ruote ne riparliamo”. Dopodiché, l’istruttore sparisce, meditando un cambiamento legale di cognome, indirizzo e, in casi estremi, potrebbe considerare anche la possibilità di andare a fare i voli di pattugliamento degli oleodotti in Oklahoma (che sono l’equivalente aviatorio del Purgatorio).
Se il vostro ciclo di lezioni di transizione all’aereo biciclo è finito così, è proprio un peccato, perché vi hanno fregato, e vi hanno piantato in asso con un corso incompleto. Il prezzo che pagherete è quello di una limitazione notevole della capacità di usare il vostro aereo a carrello biciclo. Ci saranno giorni nei quali le condizioni del vento renderanno obbligatorio l’atterraggio sulle due ruote, semplicemente perché un atterraggio stallato terminerebbe in un accartocciamento. (A proposito di accartocciamenti, se vi interessa un'altra cosa che potrebbe andare storta su un biciclo (e letteralmente, in questo caso) date un'occhiata a questo articolo.)   
Uno potrebbe anche dire: sì, ma io in quelle condizioni di vento a raffiche e al traverso non ci volo. Però il problema rimane: come farete ad atterrare se il vento si alza quando siete già in volo?
Tornando all’atterraggio sulle ruote, vorrei farvi notare che ho detto che è difficile da apprendere. Ed è anche difficile da insegnare. (Mentre state sudando le sette camicie per impararlo, forse vi farà sentir meglio sapere che l’istruttore ne sta sudando otto per insegnarvelo). Però non ho detto che sia difficile da eseguire; infatti, se foste stati nei paraggi una o due generazioni fa, avreste visto i vecchi professionisti fare un atterraggio sulle ruote dopo l’altro, nei vecchi Beech 18 e DC-3, e vi sarebbe sembrata la manovra più facile al mondo. E la facevano così spesso perché, appunto, una volta appresa bene è molto facile da eseguire. (Chiedo scusa: 500 parole e  l’autore non ha manco cominciato a spiegarla, n.d.t).


Lockheed Lodestar, Monterey, California, 1941. (edcoatescollection.com)


E cominciamo allora (finalmente) con l’elencare tutti i vantaggi della manovra:
1. La facilità di transizione da un tipo d’aereo all’altro.
2. La possibilità di posare l’aereo sulla pista a qualunque velocità (nei limiti del ragionevole) sopra la Vs1.
3. La ridotta suscettibilità dell’aereo a fare da banderuola nelle raffiche di vento.
4. La migliore visibilità durante il rullaggio post-atterraggio.
5. La maggior sicurezza di fronte all’imponderabile, tipo:
a: Un atterraggio notturno in bassa visibilità.
b: Un aereo sovraccarico.
c: Ghiaccio sull’ala che rende la velocità di stallo ignota.
E, per ultimo, ricordiamo il “vantaggio” più grande, e cioè che in certi giorni non c’è altro modo di posare l’aereo per terra, intero. In quel senso, saper eseguire un atterraggio sulle ruote non è un lusso, o un di più; ma è una necessità fondamentale.
Adesso esaminiamo le ragioni per cui questa manovra è difficile da imparare:
1: L’atterraggio sulle ruote è, in un certo senso, l’esatto opposto dell’atterraggio sui tre punti. Per cui richiede che quello che si è appreso prima venga invertito; il che è sempre complicato.
2: La maggio parte degli istruttori iniziano l’addestramento alla manovra sull’aereo vero e proprio. È sbagliato: dovrebbe iniziare alla lavagna.
3: La paura, esagerata, dell’allievo, che la pressione in avanti sulla barra faccia toccare l’elica per terra.









Tanto per cominciare, la manovra consiste nel far contattare la pista alle ruote del carrello principale, seguito da un’applicazione immediata della barra in avanti, per ridurre l’angolo di incidenza e mantenere le ruote per terra. Sembra semplice? Sì, perché lo è.
Secondo: un esercizio utile a convincere l’allievo che la paura espressa alla voce numero 3 è infondata, consiste nel sollevare, a terra, la coda di un biciclo leggero, diciamo un Aeronca Champ o un J-3, portarla all’assetto di volo livellato (che è approssimativamente l’assetto che l’aereo assume durante un atterraggio sulle ruote) e posarla su un cavalletto.  Lo studente nell’abitacolo può così esperire e visualizzare l’assetto dell’aereo in atterraggio, e memorizzarlo. Dopodiché, l’allievo pilota può scendere e rendersi conto (con sorpresa, di solito) di quanto spazio ci sia ancora fra l’elica e il suolo.





Cessna 195




Se ricordate, durante l’atterraggio sui tre punti il sobbalzo era causato dal movimento verso il basso della coda, dopo che le ruote principali avevano toccato. Ora, rileggendo quella lezione, uno studente intelligente potrebbe anche chiedersi: “Ma allora, se diamo barra in avanti quando le ruote toccano, e riduciamo l’angolo l’incidenza riducendo la portanza, non teniamo l’aereo sulla pista?” La risposta è: “Eureka! Avete appena reinventato l’atterraggio sulle ruote!”
Bisogna però aggiungere (e lo vedremo fra poco) che durante il rullaggio post-atterraggio bisogna continuare a spingere la barra gradualmente in avanti, man mano che l’aereo rallenta, e l’elevatore perde efficacia. Quando la barra sarà tutta in avanti, la coda s’appoggerà da sola sulla pista.
Ricordatevi che se cercate di obbligare la coda a posarsi (tirando la barra), l’angolo di incidenza crescerà e, se la velocità è sufficientemente alta, l’aereo prenderà di nuovo il volo.










Esaminiamo l’intera procedura passo per passo:
1. Eseguite un avvicinamento normale, alla VREF normale (non c’è bisogno di andare più veloci).
2. Durante la parte iniziale della richiamata, lasciate che le ruote principali contattino terra al rateo minimo di discesa. Potrebbe essere consigliabile usare anche un po’ di potenza, almeno durante l’addestramento, perché pare che ciò aiuti i novizi.
3. Applicate immediatamente una pressione in avanti sulla barra, per mantenere l’aereo a terra. La pressione sarà direttamente proporzionale al rateo di discesa al quale avete toccato terra. E togliete tutto il motore, se siete atterrati con un po’ di potenza.
4. Continuate a esercitare una pressione in avanti sulla barra, fino a fondo corsa, e finché la coda non si sarà adagiata sulla pista, con la barra tutta in avanti.
5. Quando il ruotino di coda tocca terra, portate la barra tutta indietro e tenetevela, per mantenere il ruotino a contatto della pista (come si fa durante l’atterraggio o il rullaggio normali).




Curtiss C-46 (flugzeuginfo.net)

Per finire, qualche commento riguardo ai punti precedenti. Per quanto concerne il numero 1: una falsa credenza, che ha creato un bel po’ di confusione, è che durante l’avvicinamento si debba mantenere una velocità più alta della velocità prescritta per un atterraggio sui tre punti. Non è vero. Anche se ci saranno quei giorni in cui l’atterraggio sulle ruote verrà eseguito a velocità superiori alla velocità “normale”, ciò sarà dovuto alla presenza di vento forte o a raffiche. In altre parole, la velocità sarà determinata dalle condizioni ambientali e non dal tipo d’atterraggio.
Se la velocità normale di avvicinamento del vostro aereo è di 55 nodi, non c’è nessun bisogno di aumentarla. Questo vale per la maggior parte dei bicicli ma potrebbero esserci delle eccezioni (leggete il manuale, sempre). Infatti, non c’è nessun bisogno di decidere che tipo di atterraggio fare finché le ruote non saranno che a pochi centimetri dal suolo. (Un buon esercizio di prontezza di reazione, per gli studenti più progrediti, consiste nell’attendere fino a dopo che l’aereo ha superato la soglia pista, prima che l’istruttore dica all’allievo che tipo d’atterraggio eseguire).


Se si tenta un atterraggio sulle ruote a una velocità inutilmente troppo alta, il risultato sarà che, per via della lunghezza eccessiva della pista necessaria, il pilota in futuro non avrà tanta voglia di riprovarci. Inoltre, in quei casi, il pilota ha la tentazione di affrettarsi e, vedendo la pista che gli scorre sotto velocissima, forza la coda dell’aereo a terra prima che sia pronta a posarsi. L’esito di solito è irriferibile.


Per quanto riguarda la voce numero 3, le domande più frequenti sono: “di quanto bisogna alzare la coda?” e “Ma l’elica non tocca per terra?” La risposta al primo quesito è che non ha tanta importanza: per un tipico aereo leggero biciclo, le cose non cambiano granché se si alza la coda di 2 o di 15 centimetri. L’importante è che la si alzi e in modo deciso.
Ricordatevi che lo scopo dell’alzare la coda è di ridurre l’angolo d’incidenza per prevenire il “rimbalzo” e mantenere l’aereo a terra; quindi è solo necessario perdere un po’ di portanza, e la quantità non deve essere molto grande.
In un atterraggio sulle ruote eseguito alla perfezione, i passeggeri potrebbero anche non rendersi conto di quanto la coda sia stata effettivamente sollevata, anche se si trattasse di piloti.
La risposta alla seconda domanda è che il timore è esagerato: c’è spazio a sufficienza per evitare che l’elica si mastichi un po’ di pista. (Eccetto nel caso di alcuni aerei militari come il Curtiss P-40 o il P-51 in cui, forse, bisogna fare un po’ più d’attenzione).



Curtiss P 40-F   (Biffo)



Quando si esegue un atterraggio sulle ruote, gli errori più comuni sono:
1. La mancata applicazione della pressione in avanti sulla barra, quando le ruote principali contattano il terreno.
2. Cercare di posarsi a terra a una velocità verticale (rateo di discesa) troppo alta; e cioè non rettificare il rateo di discesa che si era mantenuto nella fase iniziale dell’avvicinamento.
3. Velocità, o potenza, troppo elevate.
4. Una tendenza a picchiare verso la pista. Questo errore è quasi analogo al numero 2, eccetto che in questo caso si tratta più di una mossa “disperata”.


Il primo errore è di gran lunga il più comune, e probabilmente deriva dal fatto che durante tutti gli atterraggi sui tre punti, fatti in precedenza, all’allievo è stato trapanato nel cervello di portare la barra tutta indietro. Tutt’ad un tratto, gli si dice di spingerla in avanti.
La seconda ragione è, come dicevamo prima, il timore che l’elica tocchi per terra. In realtà, se l’elica dovesse mai toccare la pista durante un atterraggio sulle ruote, è molto probabile che la ragione sia stata l’errore numero 2. I Cessna, con quei loro carrelli d’atterraggio elastici, forse sono più soggetti a questo problema degli altri aerei bicicli.

S.M. 81


Bisogna ribadire che la ragione per cui si applica barra in avanti, al momento del contatto, è per contrastare il momento verso il basso del baricentro. Da questo è facile comprendere che più alto è il rateo di discesa e più grande sarà il momento a scendere del centro di gravità; e di conseguenza più grande dovrà essere l’applicazione di pressione in avanti sulla “cloche” per contrastarlo.
Il risultato è che l’allievo avrà vita più facile, durante un atterraggio sulle ruote, se giungerà a contatto con la pista con una velocità verticale minima; il che tra l’altro è molto più gentile anche con le gomme e la struttura dell’aeroplano.
D’altra parte, il pilota che picchia verso terra andrà probabilmente a sbattere con le ruote sulla pista a un rateo di discesa più alto di quello che può essere contrastato con una pressione in avanti sulla barra. Il risultato più probabile sarà il principio di un grande rimbalzo, quando il baricentro continua il suo moto verso il basso e l’angolo di incidenza aumenta in misura consistente. A quel punto l’aereo riprende il volo con slancio; ed è completamente irrilevante se l’atterraggio sbagliato fosse stato inteso come un atterraggio su tre punti o sulle due ruote. In entrambi i casi, il risultato e il rimedio sono gli stessi.
La soluzione risiede in un paio di opzioni. Per il novizio, la scelta migliore consiste, di solito, in una riattaccata seguita da un circuito per riprovarci. Mentre invece il pilota esperto potrebbe anche riuscire a trasformare l’atterraggio sballato in atterraggio sui tre punti, con un’opportuna e uniforme aggiunta di motore per ristabilire un rateo di discesa decente e atterrare, se gli rimane abbastanza pista.
Questo ci riconduce a un’altra domanda che viene fatta spesso, e cioè: “bisogna usare il motore per fare un atterraggio sulle ruote?” La risposta è che il motore, nella maggior parte degli aerei bicicli, non è necessario; anche se in molti casi potrebbe anche essere utile.
Per esempio, a molti studenti risulta più facile apprendere questa manovra se usano un poco di motore; perché ciò gli consente di controllare la richiamata e la velocità verticale con più precisione. Di conseguenza, anche insegnare l’atterraggio sulle ruote è più facile se si usa il motore.



E a volte anche su una ruota sola.

In modo analogo, è anche più facile insegnare la manovra se una bella pista lunga è disponibile. Ma ciò non vuol dire che sia assolutamente necessaria. Significa solo che un istruttore competente userà il motore e la lunghezza della pista come strumenti di insegnamento, dopodiché dimostrerà all’allievo che, in realtà, non sono strettamente necessari.
Il problema, insegnando la manovra su una pista corta, è che lo studente che sta portando l’aeroplano su un campo corto, usando il motore, si rende conto improvvisamente che il nastro della pista gli si sta svolgendo sotto a passo piuttosto veloce e, di conseguenza, si affretta troppo nel suo tentativo di eseguire l’atterraggio sulle ruote; e tutti conosciamo gli effetti della fretta sull’ apprendimento.
È facile dire che l’uso del motore non sia un requisito dell’atterraggio sulle ruote, però è naturalmente un’affermazione fatta in senso generale. Potrebbero esserci degli aerei con il baricentro in una certa posizione e/o in una configurazione di flap che impedisca l’atterraggio senza motore. Ovviamente ci si deve adattare alla situazione.
Per finire, il vero marchio d’abilità “biciclica” consiste nella capacità di eseguire un atterraggio sui tre punti con la stessa facilità di un atterraggio sulle due ruote, senza preavviso né preparazione. Infatti, un pilota in gamba capisce che è possibile recuperare un atterraggio sui tre punti sbagliato, spingendo semplicemente la barra in avanti e trasformandolo in un atterraggio sulle ruote. Credetemi, funziona.




Harvey Plourde era nato a Lewiston, Maine (Stati Uniti d'America).
Prestò servizio nell'aeronautica statunitense come interprete di francese e poi come specialista della strumentazione durante il conflitto coreano del 1950-1953. Dopo la guerra e la laurea in ingegneria elettronica lavorò nell'industria aeronautica per più di trent'anni, dove cominciò dai sistemi di navigazione inerziale, per poi occuparsi di trasduttori subacquei.
Plourde fu un membro della Civil Air Patrol per più di trent'anni, e dal 1970 al 1994 svolse le funzioni di Capo Pilota dello squadrone dello stato del New Hampshire, dove creò e mise in pratica i programmi di transizione dei piloti a vari aerei a carrello biciclo. Aveva anche un'abilitazione all'idrovolante  e possedeva un Cessna 170.
                  

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