Quando Buenos Aires fu bombardata
Aizzerò gli Egiziani contro gli Egiziani:
combatterà fratello contro fratello,
uomo contro uomo,
città contro città, regno contro regno.
(Isaia 19,2)
E sembrò proprio che il Signore avesse voluto confondere anche gli Argentini, quel giorno di giugno nel quale un gruppo di militari ribelli, mossi e accecati da un odio viscerale verso il presidente Perón, lanciarono un attacco che stupisce per la sua sconsideratezza.
Le pagine seguenti sono la traduzione, dallo spagnolo, della cronaca di quell’orribile giornata del 1955, tratta dai blog di Alberto N. Manfredi (H).
Le fonti principali, utilizzate dall'autore, sono elencate a fondo pagina.
L’illustrazione sotto al titolo è di Diego Manuel Rodríguez.
Non si può dire buona lettura, perché si tratta di una storia penosa; ma almeno spero che la troviate interessante. I commenti saranno molto graditi.
Grazie,
L. Pavese
Buenos Aires bombardata!
L’alba del 16 giugno 1955 sorse in pessime condizioni climatiche. Faceva freddo e una densa cappa di nubi copriva il cielo di Buenos Aires. Il servizio metereologico preannunciava piogge leggere con vento; e una base delle nubi di soli m 200 era estremamente bassa per i velivoli della Fuerza Aérea che avrebbero dovuto effettuare un volo commemorativo sopra la capitale, per onorare la bandiera nazionale argentina.
Benjamín Gargiulo |
Quella mattina, i porteños si stavano preparando per un’altra giornata di lavoro, e neanche immaginavano la spaventosa tragedia che stava per abbattersi su di loro.
Già dalle prime ore del mattino si registrava un andirivieni insolito al Ministero della Marina, dove l’ammiraglio Benjamín Gargiulo aveva trascorso la notte. L’alto ufficiale era in uno stato d’agitazione estremo quando il contralmirante Samuel Toranzo Calderón, Capo di Stato Maggiore si presentò nel suo ufficio.
“Gli ordini sono stati impartiti”, disse colui che era appena giunto, varcata la soglia: “La Casa de Gobierno sarà bombardata”.
Il palazzo del ministero della Marina, quartier generale dell'insurrezione militare |
Intanto, nel vicino Arsenal Naval le truppe dei “congiurati” stavano approntando il proprio equipaggiamento.
Gli ufficiali in comando si trovavano già al loro posto, quando le prime luci di quel grigio giovedì cominciarono a sorgere all’orizzonte. Avevano prescelto come loro punto d’aggregazione il quarto piano dell’edificio, sede del Comando de Infantería de Marina (Fanteria di Marina), affidandone la guardia alla Compañía Nº 1, comandata dal teniente Barbará, il quale aveva diviso l’area in due sezioni agli ordini dei sottufficiali Pacífico Flamini e Esperidión Funes. Le truppe, nelle loro uniformi da combattimento e armate di fucili automatici FN e mitragliette ML-57 Halcón di fabbricazione argentina, avevano ordine di sparare a tutti gli intrusi.
Oltre agli ufficiali ribelli, si erano presentati al Ministero numerosi rappresentanti civili, quasi tutti candidati a far parte della “Junta de Revolución Democrática” che avrebbe dovuto costituirsi immediatamente dopo la caduta del governo di Juan Domingo Perón. Fra questi spiccavano i dottori Luis María de Pablo Pardo, Adolfo Vicchi e Miguel Ángel Zavala Ortiz, i signori Lamuraglia, suo figlio Jorge, Alberto Benegas Lynch, Carlos Olmedo Zumarán e il Teniente de Navío Claudio Mejía.
Quasi tutti, al passar davanti alla Casa Rosada, avevano notato le luci accese nell’ufficio presidenziale e nelle altre stanze, e varie automobili ferme sul piazzale antistante: prova irrefutabile che Perón e i suoi collaboratori si trovavano sul posto.
Nel frattempo, nello Arsenal Naval, il Batallón de Infantería de Marina 4 che avrebbe dovuto compiere l’attacco terrestre contro la sede del governo, terminava la sua preparazione sotto lo sguardo attento del suo comandante, il capitán de fragata Juan Carlos Argerich. Secondo i piani stabiliti, i marines dovevano concentrarsi vicino al Ministero per poi marciare da lì verso l'obiettivo, dopo che la Aviación Naval (arma aerea della marina argentina) avesse portato a termine il bombardamento del palazzo del governo. Allo stesso tempo, elementi civili appartenenti ai “comandi rivoluzionari” anti-Peronisti avrebbero occupato posizioni su tetti e altri luoghi identificati precedentemente, e sarebbero stati pronti ad entrare in azione con l’inizio delle ostilità.
Juan Carlos Argerich |
Alle otto in punto, come era sua abitudine, il presidente Perón arrivó in ufficio salutando i membri del suo stato maggiore, i generali José Humberto Sosa Molina, ministro della difesa; Franklin Lucero, ministro dell’esercito; Carlos Jáuregui, capo del Servizio Informazioni dello Stato; l’ammiraglio Gastón Lestrade, il brigadier Juan Ignacio San Martín e il mayor Alfredo Máximo Renner, suo segretario privato.
Subito dopo, seduti intorno al tavolo delle riunioni, i militari passarono ad occuparsi dei punti principali all’ordine del giorno, fra i quali, la delicata situazione dei rapporti con la Chiesa Cattolica e il volo in onore alla bandiera nazionale che la Fuerza Aérea (aeronautica militare argentina) aveva in programma per quella mattina. Ignoravano che un’insurrezione era già cominciata nella vicina base aeronavale di Punta Indio a sud-est di Magdalena.
La tensione era fortissima al ministero ribelle, quando arrivò la notizia che il capitán de fragata Jorge Alfredo Bassi aveva preso possesso dell’aeroporto internazionale di Ezeiza, nel quale s’era posizionata la Compañía Nº 5 de Infantería de Marina con tutto il suo armamento.
All’Arsenal Naval il capitán Argerich, l’elmetto in testa, con appese le sue granate e i binocoli sul petto, la pistola alla cintola, finì di passare in rassegna le sue truppe imbracciando il fucile mitragliatore; e, dopo aver scambiato una parola con gli ufficiali e i sottufficiali al suo comando, si rivolse ad essi con voce ferma:
“Spero che saprete onorare la vostra patria e il vostro comandante. Montate!” (1)
Come per un riflesso condizionato i marines argentini salirono sui camion parcheggiati di fronte all’edificio, per dirigersi verso il Ministerio de Marina, preceduti da una jeep.
Intanto, a Punta Indio, i capitanes de fragata Osvaldo Guaita e Néstor Noriega stavano effettuando gli ultimi preparativi per lanciare l’attacco aereo, e informarono il Ministerio de Marina con un messaggio in codice.
Erano le 09:46 di quella terribile mattina.
Il fermento alla base aeronavale era onnipresente, con un andirivieni di ufficiali e sottufficiali che trasmettevano e ricevevano ordini, i meccanici che effettuavano gli ultimi controlli e il personale di terra impegnato nel rifornimento di carburante. Nelle cabine di pilotaggio degli aerei i piloti e gli equipaggi attendevano l’ordine di partenza, tesi, concentrati e attenti a ciò che i loro tabulati indicavano.
Quattro minuti dopo, la torre di controllo emise la tanto attesa direttiva e, quasi immediatamente, i cinque bimotori Beechcraft AT-11 iniziarono a rullare sull’asfalto, in direzione della pista. Seguendo i segnali del personale di terra, gli aerei ribelli presero posizione all’estremità sud del campo e rimasero in attesa dell’autorizzazione al decollo. A seguito di essi, lo stesso fecero venti monomotori North American AT-6, al comando del capitán de corbeta Santiago Sánchez Sabarots. Ciascuno era armato con due bombe da kg 50 e mitragliatrici.
Le armi della marina ribelle: un North American T-6 (monomotore) in formazione con un Beechcraft AT-11 |
Gli ordini erano chiari e definitivi: uccidere il presidente Juan Domingo Perón.
Giunse l’autorizzazione al decollo.
Il Beechcraft immatricolato 3B-3 del capitán de corbeta Jorge Imaz, dando la potenza massima, cominciò a rullare acquistando velocità fino a levarsi in volo e perdersi nel basso manto di nubi che copriva la regione. L’aereo portava come puntatore-bombardiere il teniente de corbeta Alex Richmond, lo stesso capitano Guaita come secondo pilota, il cabo principal Roberto Nava come navigatore e il guardiamarina Miguel Ángel Grondona come aggregato soprannumerario.
Erano le dieci della mattina di quel freddo giorno d’inverno, c’era poca visibilità e non si percepiva movimento in quel settore della provincia, ad eccezione della pioviggine che cadeva sui campi.
Dietro al capitán Imaz decollò il bombardiere matricola 3B-4, al comando del teniente de navío Carlos J. Farguío, con il comandante della base, capitán Néstor Noriega come puntatore, il teniente de corbeta Roberto Moya come navigatore e il sottufficiale José Radrizzi come aggregato. Erano seguiti, uno dietro l’altro, dal 3B-11 al comando del teniente de navío Jorge Irigoin, coadiuvato dal teniente de fragata Augusto Artigas come secondo pilota, dal teniente de corbeta Santiago Martínez Autín come puntatore e dal sottufficiale meccanico Francisco Calvi come assistente; poi dal 3B-6 pilotato dal teniente de fragata Alfredo Eustaqui, con el teniente de corbeta Hugo Adamoli come puntatore e i sottufficiali Girardi e Maciel in qualità di assistenti; e infine dal 3B-10 del teniente de fragata Alberto del Fresno; il puntatore del quale era il teniente de corbeta Carlos Corti, e suoi assistenti i sottufficiali Mario Héctor Mercante e Ricardo Díaz.
Immediatamente dopo i bombardieri si dispiegarono gli AT-6, pilotati dal capitán de corbeta Santiago Sánchez Sabarots, dai tenientes de navío Héctor “Tito” Florido Alsina, Eduardo Velarde e Héctor Orsi; dai tenientes de fragata Raúl Robatto, Heriberto Frind e Carlos García; dai tenientes de corbeta José M. Huergo, Julio Cano, José Demartini, Eduardo Invierno, Luis Suárez e Máximo Rivero Kelly e dai guardiamarinas Arnaldo Román, César Dennehy, Juan Romanella, Héctor Cordero, Sergio Rodríguez, Horacio Estrada e Eduardo Bisso.
Ore 10:30. Il dado è tratto |
I venticinque aerei (Escuadrilla Aeronaval Nº 3 al comando del capitán Guaita) guadagnarono quota senza problemi e, superata la cappa di nubi, fecero prua verso la capitale federale perseguendo il loro obiettivo rivoluzionario: erano decisi a farla finita con Perón e metter fine al suo regime.
A quel punto però, fonti governative avevano già rilevato che stava accadendo qualcosa di anomalo e iniziavano ad allertare tutte le unità, mettendo in atto il piano CONINTES (Conmoción Interna del Estado. Agitazioni interne allo stato) volto a reprimere ogni tentativo sedizioso.
La Avenida Colón. Sullo sfondo, l'imponente Edificio Libertador e le torri della Aduana (Dogana); in primo piano la Casa Rosada, sede del governo (circa 1950). |
Alla base aerea di Morón, dove era stanziato il Grupo 3 de Caza della VII Brigada Aérea (della Aeronautica Argentina), il comandante, comodoro Carlos Alberto Soto, ignorava che molti suoi piloti, alcuni dei quali designati a compiere la parata aerea in onore alla bandiera, sopra Buenos Aires, stavano solo aspettando il momento opportuno per disertare e cavalcare l’onda della sollevazione militare. Il gruppo ribelle era capeggiato dal maggiore Agustín Héctor de la Vega, il quale attendeva impaziente l’arrivo del capitano Julio César Cáceres, che era il collegamento con i militari sediziosi della Marina argentina.
Soto, completamente ignaro di ciò che stava succedendo, decollò per un volo di ricognizione, allo scopo di verificare personalmente la visibilità con la quale si poteva effettuare il volo di celebrazione della bandiera. Quando sì trovò all’altezza della Avenida General Paz ricevette un messaggio urgente, che lo richiamava immediatamente alla base.
Giunto a terra, gli notificarono che era entrato in vigore il piano CONINTES. Sceso dall’aeroplano, si diresse di fretta al suo ufficio, dove ricevette un messaggio del brigadier Juan Fabri, comandante in capo dell’aeronautica argentina, il quale gli comunicava che tutti i voli su Buenos Aires erano proibiti, perché ci si attendeva un attacco.
Soto rimase molto perplesso. Gli avevano appena detto che la capitale federale sarebbe potuta essere bombardata e che doveva stare allerta e prepararsi ad entrare in azione. Tuttavia in dubbio, egli chiese se avrebbe dovuto procedere all’abbattimento di aerei nemici; e rimase molto sorpreso quando il brigadier Fabri gli rispose di sì. Molto turbato, ma senza perdere la calma, Soto ordinò di suonare l’allarme e di approntare quattro caccia a reazione Gloster Meteor per intercettare possibili aerei nemici.
Morón: schieramento di Meteor |
Il personale della base era impegnato nelle sue attività, quando giunse il brigadier Mario Emilio Daneri, accompagnato da altri ufficiali. Daneri aveva avuto istruzione di assumere il comando della difesa aerea e di adottare tutte le misure necessarie per contrastare l’imminente attacco alla capitale.
“È arrivato il momento di dimostrare quello che siamo capaci di fare. Confido nella lealtà di tutti voi verso l’autorità costituita e vorrei che ora la dimostraste”, arringò i suoi Daneri. E, non aveva ancora terminato di parlare, quando una nuova telefonata del brigadier Fabri gli confermò l’ordine di decollare e abbattere ogni velivolo che sorvolasse Buenos Aires.
Fabri non aveva aggiunto altro.
Lo Aeroparque Metropolitano e lo Aeropuerto Internacional de Ezeiza furono subito chiusi, e un volo commerciale proveniente da Colonia fu obbligato a tornare indietro.
Mentre si svolgeva tutto ciò, la squadriglia d’attacco ribelle, agli ordini del capitán de fragata Guaita, era giunta a Buenos Aires e aveva iniziato ad orbitare sopra il Río de la Plata, nella speranza che le condizioni meteorologiche migliorassero.
Come presidente della nazione e comandante in capo delle forze armate, Perón, il “primer mandatario” avrebbe forse dovuto farsi carico personalmente della soppressione della rivolta. Preferì invece delegare il comando al generale dell’esercito Lucero e mettere la sua persona al sicuro.
Il generale Franklin Lucero |
Lucero convocò i principali capi militari a una riunione urgente presso il Ministerio de Ejército(2), dopo la quale dispose la mobilitazione dello storico Regimiento de Granaderos a Caballo “General San Martín” , che dal 1903 aveva in carico la custodia e la protezione del presidente della nazione; e ordinò l’attivazione del potente Regimiento Motorizado “Buenos Aires”, missione del quale sarebbe stata la difesa del grande Edificio Libertador, dipendenza del palazzo del governo.
Allo stesso tempo, si posero in stato d’allerta tutte le forze militari, compresi i pompieri e la polizia; e fu ordinata la mobilitazione di tutti i reggimenti vicini alla capitale, a difesa del governo.
Di minuto in minuto, un pesante clima di tensione si stava impadronendo dei palazzi, perché si sapeva che aeroplani ostili si stavano dirigendo verso la città e che si stavano facendo preparativi febbrili per estendere la rivolta e coinvolgervi anche la Escuela de Mecánica de la Armada (Scuola di Tecnica della Marina Militare argentina); il che rendeva imperativo adottare tutte le misure necessarie per proteggere la sede del governo.
Nell’ala della Casa Rosada (sede del governo federale) che dà sulla Calle Rivadavia, venne posizionata una sezione di tiro, con due mitragliatrici pesanti agli ordini del capitano Virgilio di Paolo; un’analoga squadra occupò posizioni davanti alla Plaza de Mayo e un’altra sul retro, coprendo così ogni possibile tentativo di avanzata da Plaza Colón.
Nel frattempo, sui tetti del palazzo governatoriale si installarono anche tre pezzi di artiglieria contraerea, mentre il teniente coronel Oscar Goulú stabiliva il suo comando nello storico Salón de los Acuerdos. Lo stesso fece, nel suo ufficio, il coronel Eduardo D’Onofrio, capo della Casa Militar e convertitosi in capo dell’improvvisata Agrupación Casa de Gobierno; il tutto nella più totale frenesia, mentre fuori l’esercito montava due pezzi d’artiglieria contraerea agli angoli di Plaza de Mayo: una di fronte alla cattedrale e l’altra al Cabildo.
L’infermeria e la stazione di polizia della sede del governo erano state messe in allerta, ed era stato mobilitato il 3º Escuadrón de Granaderos di sede a Palermo.
Soldati di quest’ultimo reggimento presero posizione nel palazzo del governo, costruito sopra l’antica fortezza che fu la sede dei viceré del Rio della Plata e delle prime autorità patrie argentine.
Il generale Lucero diede mostra di un alto livello professionale disponendo le appropriate misure difensive per arrestare la sollevazione. Alle 12:20 circa, egli aveva già tutte le unità dell’esercito in grado di essere mobilitate, e tutte le forze lealiste pronte ad entrare in azione.
I granatieri appostati nella Casa del Gobierno erano al comando del teniente José María Gutiérrez, comandante della guardia, il quale si stabilì al primo piano, vicino al Salón Blanco, dove era stata piazzata un’altra mitragliatrice pesante (probabilmente da mm 12,7), in carico a un sottufficiale di nome Álvarez.
Un fatto che ha richiamato l’attenzione degli storici e degli analisti è che la popolazione di Buenos Aires non fu mai avvertita di quello che stava succedendo.
A Buenos Aires la vita continuava il suo corso nella totale normalità.
Fra le 8:35 e le 09:00, il presidente Perón si incontrò brevemente, nel suo ufficio, con l’ambasciatore statunitense Albert F. Nufer, e quindici minuti dopo si ritirò nel vicino Edificio Libertador, la imponente sede del Ministerio de Ejército, senza ordinare l’allerta né adottare misure necessarie per evitare che la gente circolasse vicino alla Plaza de Mayo. Non vi furono indicazioni per bloccare il transito sulla piazza, né si ordinò lo sgombero della Casa de Gobierno.
Non suonò nessun allarme.
Nel frattempo, all’Aeropuerto Internacional di Ezeiza le forze ribelli stavano ricevendo i primi Douglas DC-3 e DC-4 della Armada, che trasportavano altri fanti della Marina dalla base aeronavale di Punta Indio, insieme al personale necessario ai compiti di terra (manutenzione, riarmamento e rifornimento di carburante degli aerei).
I fanti di marina sbarcarono e assunsero il posto di combattimento negli edifici, mentre gli aerei da trasporto tornavano a decollare per andare a prendere truppe aggiuntive.
Intanto, la squadriglia di aerei ribelli da attacco continuava a circuitare sopra la città e il fiume, nella speranza che le condizioni climatiche migliorassero. A quella quota, i monomotori North American AT-6 cominciavano a trovarsi a corto di benzina; e alcuni di essi dovettero infatti atterrare a Ezeiza per rifornirsi.
Questo fatto non passò inosservato agli impiegati civili dell’aerostazione quando, con stupore, notarono le bombe appese sotto l’ala degli AT-6. Ciò spinse alcuni di loro a cercare di mettersi in contatto con la capitale, per verificare cosa stava accadendo; ma scoprirono, con sorpresa, che le linee telefoniche erano state interrotte. Nonostante ciò, secondo quello che riporta Ruiz Moreno, uno di loro, Eduardo Maidana, riuscì a stabilire un contatto con il Servicio de Informaciones del Estado e a denunciare ciò che stava avvenendo. E fu in seguito alla chiamata di Maidana che più tardi fu impartito l’ordine di mitragliare gli aeroplani ribelli presenti sul posto.
Siccome le comunicazioni fra la squadriglia di attacco e il comando dei ribelli erano interrotte, il capitano Noriega ordinò al teniente de fragata Carlos Garcia, pilota di uno agli AT-6, che atterrasse a Ezeiza per avere informazioni.
North American AT-6. Armada Argentina |
Il pilota si diresse direttamente all’aeroporto internazionale e, una volta a terra, corse al posto del capitano Bassi, che aveva preso possesso dell’aerostazione.
L'angoscia e la tensione crescevano nei ranghi ribelli di minuto in minuto.
Bassi riuscì a stabilire un contatto col Ministerio de Marina, quando gli animi cominciavano ormai a scaldarsi per via della mancanza d’informazioni. Il ritardo era già stato eccessivamente lungo, e il tempo meteorologico non sembrava migliorare. E l’ordine che fu dato a García fu quello di attaccare. Quegli allora partì di corsa, per ritrasmettere l’ordine alla squadriglia golpista.
Erano già passate tre ore da quando il generale Perón si era trasferito nella sede dell’esercito (nell’Edificio Libertador), attorniato dalla sua scorta di granaderos; e si trovava al terzo piano del grande edificio quando il comando ribelle ordinò l’attacco. Al suo fianco vi erano i generali Lucero e Sosa Molina, il brigadier San Martín, il vice-presidente Alberto Teissaire e altri funzionari civili e militari, ai quali, verso le 12:30, si unirono gli ammiragli Ramón Brunnet e Gastón Lestrade.
I nuovi arrivati esposero al presidente Perón i dettagli della situazione, confermandogli che la Marina si trovava in stato di ribellione, che il Piano CONINTES era stato sabotato e che si stava tentando di neutralizzare la Escuela de Mecánica de la Armada. Frattanto, mentre il “Primer Mandatario” ascoltava il rapporto, ai piani superiori si stava finendo di montare un dispositivo di difesa fra un febbrile andirivieni.
Finalmente (e si potrebbe dire, sfortunatamente), poco dopo mezzogiorno le condizioni climatiche sembrarono migliorare: la base delle nubi era salita da 200 a 400 metri, e vi si erano aperti degli squarci. La squadriglia dell’aviazione aeronavale si lanciò all’attacco.
Ricevuta la direttiva, il capitano Noriega la riferì al resto delle unità e subito dopo iniziò la sua corsa di lancio:
“Eseguire il piano “Ministerio de Marina” - ordinò alla radio - “Aprire portelli bombe. Pronti allo sgancio”. (3)
La squadriglia aeronavale si divise in due sezioni. La prima, che costituiva il grosso della formazione, puntò direttamente verso la Casa de Gobierno, la seconda si diresse verso gli obiettivi secondari.
Nella loro corsa d’attacco, dopo aver effettuato una virata sopra il Río de la Plata e aver sorvolato Puerto Nuevo, i bombardieri aprirono i portelloni e si lanciarono sui loro bersagli.
Gli attaccanti |
Le bombe del capitano Guaita furono le prime a cadere. Una di esse mancò la Casa Rosada e colpì un autobus urbano pieno di passeggeri. Il veicolo si alzò in aria e ricadde al suolo. I suoi occupanti morirono per le schegge e la terribile onda d'urto.
La seconda bomba centrò la sede del governo, provocando i primi danni alla struttura.
Seguirono gli altri quattro bombardieri Beechcraft, sganciando i rispettivi carichi bellici. Gli impatti e le esplosioni furono di tale violenza che gli ignari civili che stavano passando per la Plaza de Mayo e le strade adiacenti cominciarono a correre disperatamente in cerca di riparo.
Lo spettacolo era scioccante.
Buenos Aires era diventata la prima capitale delle Americhe a subire un bombardamento aereo.
L’aereo di Guaita fu raggiunto dai proiettili in un’ala, molto vicino al serbatoio dell’olio. Il velivolo del tenente Irigoin ricevette un colpo che gli attraversò la porta e recise un condotto di cavi; il che lo lasciò senza comunicazioni col resto della squadriglia. Il colpo per poco non uccise il cabo mecánico Francisco Calvi.
Il capitano Noriega lanciò le sue bombe dopo Guaita.
“Auguro buona fortuna al mio paese!” pensò, al momento dello sgancio.
Una delle bombe cascò lunga e centrò il Ministerio de Hacienda (ministero delle finanze), facendo esplodere porte e finestre, provocando alcuni incendi e seri danni alle pareti. Il secondo proiettile colpì la Casa de Gobierno causando altri danni. Il dramma fu che molti passanti si erano rifugiati nel suddetto Ministero, poco prima che subisse l’attacco.
I colpi dell’antiaerea raggiunsero vari aerei attaccanti, senza però causare molti danni; il che gli permise, una volta alleggeriti del peso delle bombe, di riguadagnare quota e tornare velocemente a Ezeiza per rifornirsi.
Dopo i bimotori Beechcraft AT-11 arrivarono i monomotori North American AT-6, lanciando le loro bombe in picchiata e riattaccando per ricomporre la loro formazione sopra lo strato di nubi.Il danno che causarono fu tremendo.
Uno dei proiettili esplose nell’ufficio presidenziale; un altro produsse un buco enorme nell’angolo di nord-est del Ministerio de Hacienda. Altri due caddero nella via; un quinto ordigno cadde sulla scalinata di accesso al corso Hipólito Yrigoyen e un altro sui marciapiedi del Paseo Colón, tra i corsi Yrigoyen e Alsina.
Le bombe caddero da un’altezza di circa 400 metri, mentre erano state innescate per essere sganciate da 1000 metri; ragione per la quale alcune di esse non esplosero. Ciononostante, i danni furono enormi e il costo in termine di vite umane tremendo.
Mentre una densa colonna di fumo si alzava verso il cielo dalla Casa de Gobierno, numerosi corpi giacevano sparsi per le strade: tutti cittadini civili che, al momento dell’attacco, stavano transitando per il luogo. Si vedevano corpi crivellati dalle schegge, e un gran numero di feriti che si lamentavano sul lastricato, in molti casi orribilmente mutilati.
Ma la tragedia era appena iniziata.
“Avanzi capitán!”, ordino il contrammiraglio Toranzo Calderón al capitano Argerich, al piano terra del Ministerio de Marina.
Accompagnato dal suo capo operazioni, teniente de navío Carlos Recio, Argerich guadagnò rapidamente l’esterno e salì sulla jeep, che doveva essere a capo della colonna, composta da tre autocarri, sui quali i suoi uomini lo attendevano. La formazione imbocco la Cangallo e, giunta alla Leandro N. Alem, svoltò a sinistra per dirigersi direttamente verso il Palacio de Gobierno.
A trenta metri scarsi dalla statua di Juan de Garay, i camion girarono di 180⁰, e si fermarono col retro rivolto verso la Casa Rosada.
Centocinquanta fanti di marina saltarono al suolo e si divisero in due sezioni, una al comando del tenente Carlos Sommariva e l’altra al comando del tenente Menotti Alejandro Spinelli. Entrambe si appostarono sulle posizioni prestabilite.
La sezione del tenente Sommariva si piazzò in un punto a nord-est, molto vicino a dove si erano fermati i camion, mentre quella di Spinelli, dopo aver attraversato il corso, prese la sua posizione su Plaza Colón, davanti al retro del grande edificio, e dietro la stazione di servizio dello Automóvil Club Argentino (che oggi non esiste più).
Lo spettacolo era dantesco. Colonne di fumo si alzavano verso il cielo, la gente correva terrorizzata, il filobus colpito bruciava in lontananza, con i suoi passeggeri ormai carbonizzati e numerosi cadaveri erano sparsi dappertutto, mischiati ai feriti, agli agonizzanti a e ai veicoli avvolti dalle fiamme.
Argerich impartì gli ultimi ordini, ribadendo che i civili con il braccialetto bianco erano amici e, per tanto, non gli si poteva sparare.
La prima cosa che Argerich riuscì a scorgere fu la mitragliatrice posizionata alla finestra laterale della Calle Rivadavia, vicino alla quale vi erano il tenente dei Granaderos José María Gutiérrez e il sargento ayudante Álvarez; e, con l’intenzione di neutralizzarla, sollevò la sua arma e sventagliò la posizione con raffiche intermittenti.
Gutiérrez y Álvarez arretrarono dalla finestra in tempo, mentre la cristalleria della stanza scoppiava in frantumi. Colmi di rabbia, tornarono alla mitragliatrice. Il primo tolse la sicura e il secondo aprì il fuoco.
Una forte raffica passò fra Argerich e il tenente Recio, obbligando i fanti di marina a cercare rifugio nella Recova del Paseo Colón. Intanto, la Compañía Nº 1, con la sezione di mitragliatrici del tenente Montiquín ripiegava in direzione del Ministerio de Marina battuta dal nutrito fuoco proveniente dalla Casa Rosada.
Era svanito il fattore sorpresa, e perciò l’assalto alla sede governativa era diventata una missione impossibile. Secondo quanto stabilito, il teniente Sommariva ordinò al suo plotone di iniziare a ritirarsi a scaglioni col supporto dei fianchi e di cercare riparo nei palazzi del Paseo Colón.
Mentre i fanti di marina si ritiravano, ricevevano urla di incoraggiamento da parte di molti civili, oppositori di Perón, nascosti dietro automobili, muri e colonnati.
Chi mantenne le sue posizioni fermamente, perché non aveva ricevuto ordine di ripiegare, fu invece il tenente Spinelli, bloccato in un combattimento intenso con i Granaderos che difendevano la Casa de Gobierno.
Il fuoco della fucileria, le grida dei combattenti e l’ululare delle ambulanze, che sfidavano coraggiosamente il fuoco per soccorrere i feriti, gli avevano impedito di sentirlo.
Fine della prima parte.
La seconda parte è qui.
Ogni vostro commento sarà, come sempre, molto gradito.
Avevo già tradotto altri scritti di Alberto N Manfredi (h), però in inglese. Uno sul conflitto fra il dittatore argentino e la chiesa cattolica che, nel 1954, degenerò in violenza; e l’altro sul precedente tentativo di rovesciare Perón, questa volta da parte dei suoi colleghi dell’esercito argentino, nel 1951. Entrambi li troverete qui.
Fatemi sapere cosa ne pensate.
L. Pavese
Note
1: Isidoro Ruiz Moreno, La Revolución del 1955, Enecé, Buenos Aires, 1994. Tomo I, Parte Terza, Cap. X "La batalla del 16 de junio".
2: Fino al 1949 questo ramo del governo fu denominato Ministerio de Guerra, a partire da quell'anno diventò Ministerio de Ejército e, dal 1958, Ministerio de Defensa, sempre con sede nello Edificio Libertador.
3: Isidoro Ruiz Moreno, idem
Fonti principali:
Isidoro Ruiz Moreno, La Revolución del 55, Emecé, Buenos Aires, 1994.
Alberto Carbone, El día que bombardearon Plaza de Mayo, Editorial Vinciguerra, Buenos Aires, 1994.
Daniel Cichero, Bombas sobre Buenos Aires, Vergara Grupo Z, 2005.
Franklin Lucero, El precio de la lealtad, Editorial Propulsión, Buenos Aires, 1959.
Libro Histórico del Regimiento de Granaderos a Caballo (1953-1955).
Diarios "La Prensa", "La Nación", "La Razón", "Clarín".
Revistas "Ahora", "Hechos en el Mundo", "Esto Es".
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