Iran come i Balcani?



Uno sguardo alla strategia israeliana di balcanizzare l’Iran e al perché fallirà

Di Xavier Villar (Traduzione di Leonardo Pavese)


La dottrina israeliana ha fatto dell’alleanza con minoranze etniche e religiose uno strumento strategico per influenzare e alla fine frammentare i suoi avversari. L’Iran, con la sua complessa composizione multietnica, si presenta come un bersaglio allettante per questa politica del divide et impera. Il promuovere idee separatiste o sostenere segretamente gruppi periferici non è soltanto una tattica, ma è parte di una visione più ampia: cioè indebolire la coesione interna di un rivale regionale e mutare i rapporti di potenza nella regione.

Però, questo approccio anche se dettato dalla necessità di sicurezza non è né innocente né neutrale. Esso, riducendo intere comunità a semplici pedine di un gioco geopolitico, le spoglia del loro potere d’agire e legittima l’intervento militare col pretesto della propria protezione. La sicurezza, in codesto schema, cessa di essere un diritto universale e diventa una tecnica di controllo che giustifica la manipolazione, la continua sorveglianza e la disgregazione sociale. È un modello che trasforma le differenze in minacce e la diversità in un campo di battaglia.

Ma c’è di più. Analisti quali Sahar Ghumkhor ci spronano a guardare sotto la superficie: dove viene imposta la logica della sicurezza, le vicende di emarginazione, resistenza e negoziato con le comunità interessate diventano irrilevanti. La strumentalizzazione delle minoranze non indica  una genuina preoccupazione per la loro situazione, ma semplicemente la loro utilità circostanziale nel contesto dei programmi di potentati stranieri. Perciò, le richieste legittime di giustizia e riconoscimento vengono subordinate a  strategie che poco hanno a che vedere con l’autodeterminazione.

In questo contesto, la politica di Israele nei confronti dell’Iran rivela i limiti e i pericoli di una visione della politica  basata sulla sicurezza portata all’estremo. Essa non solo perpetua l'instabilità regionale, ma rinforza le gerarchie colonialiste e crea una “logica dell’eccezione” che giustifica quasi ogni atto sotto lo stendardo della sicurezza nazionale.

Questo articolo si propone di spiegare l’intenzione di Israele di “balcanizzare” l’Iran, e come detta politica non tenga conto della resistenza dei diversi gruppi etnici nella Repubblica Islamica contro questo tentativo di fomentare divisioni interne. 

Il ruolo della Foundation for Defense of Democracies o FDD

Uno degli attori più impegnati nella strategia di balcanizzazione dell'Iran è la cosiddetta “Fondazione per la Difesa delle Democrazie” o FDD, basata a Washington D.C., negli Stati Uniti d’America. 

Brenza Shaffer della FDD sostiene che la composizione multietnica dell’Iran ne costituisca una vulnerabilità che potrebbe tornare utile. La sua posizione si allinea con un editoriale del quotidiano Jerusalem Post, il quale, dopo l'iniziale attacco israeliano nella recente guerra contro l’Iran, sollecitava apertamente il Presidente Trump perché sostenesse lo smembramento territoriale dell’Iran. 

L’editoriale proponeva di formare una “coalizione internazionale per la ripartizione dell’Iran” e per “dare garanzie di sicurezza alle regioni sunnite,  curde e beluce che volessero secedere". Il Jerusalem Post in particolare raccomandava esplicitamente che Israele e gli Stati Uniti sostenessero la secessione di quello che loro definivano lo Azerbaijan Meridionale, riferendosi alle province nord-occidentali dell’Iran abitate prevalentemente da azeri. 

Queste non sono dichiarazioni isolate: ma riflettono l’approccio strategico di smantellare l'unità politica dell’Iran, agendo sulla diversità etnica come leva per creare instabilità.

Da dove ha origine l’idea della balcanizzazione

Da un punto di vista teorico, la fine del XX secolo segnò l’alba dell'etnonazionalismo nella politica internazionale. Il dissolvimento dell’Unione Sovietica e la frammentazione della Jugoslavia e della Cecoslovacchia sottolinearono il ruolo centrale del conflitto etnico nella politica mondiale, concentrandovi l’attenzione sia degli studiosi che degli strateghi. La dispersione dei vari gruppi etno-confessionali in vari stati e la loro trasformazione in vere e proprie faglie telluriche attive minacciava la coesione sociale dei paesi di varia composizione etnica. Di conseguenza, le rivendicazioni identitarie divennero non solo sfide ma anche opportunità per la politica estera di certi stati. Di conseguenza, molti potentati iniziarono a dare il loro supporto a gruppi d’oltreconfine, per acquisire  influenza e potere, sfruttando le tensioni interne degli altri, e rafforzare la loro posizione regionale.

Quando Israele cominciò ad orientarsi verso la balcanizzazione 

Ogni dottrina della sicurezza nazionale nasce da un connubio di fattori storici, strutturali e particolari. Nel caso di Israele, la cosiddetta Periphery Doctrine, la dottrina del vicinato - cioè la strategia di formare alleanze con paesi non-arabi o entità vicine nella regione per superare l’isolamento - sboccia da considerazioni esistenziali sulle possibili minacce e da una visione della propria identità politica basata sull’eccezionalismo e il sospetto. 

Detta “dottrina” fu formulata da David Ben-Gurion, il primo presidente del consiglio israeliano, dopo la Crisi di Suez del 1956, come via per forzare il blocco arabo, cercando sostegno presso i paesi non arabi della regione (quali la Turchia e l’Iran ante-rivoluzionario) e presso le minoranza etniche che soffrivano della pressione araba. 

La natura colonialista ed esclusoria del progetto Sionista, associata all’isolamento regionale, alimentò un’atteggiamento mentale che percepisce tutte le differenze come una minaccia ed ogni paese confinante come un nemico potenziale. 

Oltre agli stati, Israele ha intrattenuto rapporti segreti con minoranze etniche e confessionali nei paesi arabi e musulmani nel tentativo di destabilizzarli. Il sostegno alle minoranze - dai Curdi ai Drusi - è considerato un elemento chiave per disgregare il blocco arabo e mantenere una superiorità strategica.

Vari pensatori israeliani hanno esplicitamente sostenuto quest’idea. Aryeh Ornstein propose la dissoluzione di vari paesi arabi in tante entità tribali come un'opportunità per Israele, mentre Jabotinsky propose il sostegno ai curdi per indebolire i paesi arabi. 

La realtà iraniana

Israele e i suoi protettori occidentali trascurano una differenza sostanziale: la continuità storica dell’Iran lo rende diverso da ogni altro paese dell’Asia occidentale. Mentre vari storici caratterizzano altri stati regionali come “artificiali”, a cagione della loro recente costituzione, l’Iran ha una storia che abbraccia millenni, rivendicando di essere la più antica nazione del mondo. 


Il monastero di Santo Stefano della Chiesa Armena in Iran, presso Jolfa, Azarbaijan occidentale.


L’Unione Sovietica, per esempio, comprendeva molte nazioni e territori che stavano precedentemente sotto diversa sovranità. Per contro, l’Iran ha mantenuto una sua continua identità nazionale per millenni, con una popolazione che si è auto-identificata come iraniana lungo tutta la sua storia. L’Iran ha una diversità etnica e linguistica notevole, ma dette differenze sussistono in una struttura politica e territoriale coesa che è sempre esistita, ed è tuttora mantenuta dalla Repubblica Islamica.

Dal punto di vista geografico, l’Iran è diviso in una parte centrale più omogenea, e zone periferiche eterogenee. Eppure, durante tutta la sua storia, tutte queste componenti si sono dimostrate complementari e hanno coordinato le loro azioni entro lo stato, garantendo una forte continuità politica, territoriale e nazionale. 

Un esempio di tale continuità fu l’invasione irachena del Khuzestan nel 1980, durante la guerra fra Iran ed Iraq. L’offensiva irachena era accompagnata dagli slogan di unità nazionale araba e propaganda secessionista basata sulla differenza etnica. Ebbene, benché la parte occidentale del Khuzestan sia prevalentemente araba, l’invasione incontrò una resistenza locale e regionale molto forte.

L’Iran non è né un fragile stato né un mosaico etnico sull’orlo del collasso. È una nazione di circa 90 milioni di abitanti con una profonda identità storica e culturale che trascende le diverse componenti. Per cui, coloro i quali propongono la sua “balcanizzazione” si concentrano ossessivamente sulla sua pluralità etnica - azeri, curdi, beluci e arabi - sottovalutando sistematicamente il potere unificatrice esercitato dalla Repubblica Islamica.

Il caso forse più esemplare e paradigmatico di questo equivoco è la popolazione azera, la seconda più grande dopo i persiani. Gli azeri abitano prevalentemente il nord-ovest - nelle province come l’Azerbaijan occidentale ed orientale, Ardabil. Zanjan and Qazvin - e si estendono anche sino a Hamadan e al Gilan occidentale. 

Alcuni personaggi importanti nella società iraniana, quali l’attuale presidente della repubblica Masoud Pezeshkian, e il capo della Rivoluzione Islamica, l'Ayatollah Seyyed Ali Khamenei appartengono alla suddetta minoranza.

Inoltre, molti studi come quelli di Rasmus Elling e Kevan Harris, basati su ampi sondaggi sociologici condotti nel 2016, dimostrano che molti iraniani non si identificano con un’unica etnia ma dichiarano di far parte di diverse identità.

Quindi, l’ipotesi condivisa da certi israeliani e da pensatori come quelli della Fondazione per la Difesa della Democrazia - che sotto pressione esterna, come nella recente guerra fra Iran e Israele, le minoranze si solleverebbero contro il governo centrale - si è dimostrata errata. Anzi, l’effetto visto dopo l’attacco israeliano è stato esattamente l’opposto: cioè un rafforzamento dell'unità nazionale e della coesione sociale in Iran.

Nella scia della recente recrudescenza della guerra fra Israele ed Iran, siamo stati testimoni, in Iran, di alcune delle più intense espressioni di dolore e patriottismo degli ultimi anni. Grandi assembramenti per esprimere il cordoglio sono stati contrassegnati da encomi e recite di versi con vari riferimenti all’Iran, tratti dalla letteratura persiana e da canzoni popolari, poemi nazionali ed inni patriottici. Questi atti sociali e culturali riflettono un senso profondo di collettività che riemerge più forte in risposta ad ogni aggressione dall’esterno, dimostrando la solidità e la resilienza dell’idea nazionale iraniana. 

E quindi, fino ad ora, ben lontano dall’aver prodotto la disgregazione della società, ogni tentativo di balcanizzazione dell’Iran è servito solo a rinforzare la coesione interna e la capacità dell’Iran di resistere come stato nazionale. 


Questa era la traduzione di un articolo tratto dal Tehran Times.

Xavier Villar è un analista politico e ricercatore spagnolo, che divide il suo tempo fra la Spagna e l'Iran.

Ogni vostro commento sarà, come sempre, molto gradito.

Grazie,


L. Pavese


Comments

Popular posts from this blog

The Chaca and her FIATs

The Airplanes and Gliders of Adriano Mantelli

Infierno en el monte tucumano