La seconda indipendenza di Tucumán
All'uopo, lo E.R.P. scelse la Provincia di Tucumán, regione montuosa nord-orientale. La morfologia della provincia montana, impervia e boscosa di Tucumán si prestava alla guerriglia, offrendo molti nascondigli ed essendo di difficile accesso alle forze armate regolari. Ma la scelta della provincia aveva anche un valore simbolico; perché fu nella sua capitale, San Miguel di Tucumán, che il 9 luglio 1816 fu dichiarata l'indipendenza del paese.
"Operativo Independencia”
La guerra contro la guerriglia sovversiva nella Provincia di Tucumán (1974-1975-1976).
di Alberto N. Manfredi (h)Prima parte
Il 5 febbraio 1975, la presidente dell’Argentina Isabel Martínez de Perón (1931 - vivente) firmò il decreto segreto n° 261 che metteva in moto il cosiddetto “Operativo Independencia”, (programma operativo Indipendenza, ndt), cioè la risposta del governo argentino all’attività sovversiva delle bande terroristiche che stavano devastando la nazione dal 1970 e che stavano tentando di aprire un fronte rurale nella provincia argentina del Tucumán, allo scopo di dichiarare la provincia un “territorio liberato” per il quale avrebbero richiesto il riconoscimento internazionale.
Nel 1973, lo ERP, Ejército Revolucionario del Pueblo (Esercito Rivoluzionario del Popolo, ndt) aveva infatti deciso di intensificare le sue azioni terroristiche aprendo un fronte di guerra nella provincia nordoccidentale del paese. L'obiettivo era semplice: chiedere il riconoscimento internazionale per poi ottenere sostegno economico, politico e militare dall'estero.
Il territorio prescelto della provincia del Tucumán aveva già conosciuto antecedenti di una presenza sovversiva, almeno sin dal 1959, quando gli “Uturuncos”, un movimento guerrigliero rurale d’ispirazione peronista, aveva tentato di accendere un focolaio di guerriglia nella regione di Cerro Cochuna, a 20 km di distanza dal capoluogo di provincia (San Miguel de Tucumán ndt). Il movimento degli Uturuncos era comandato da Enrique Manuel Mena ed era stato ispirato da John William Cooke (1919-1968. Esponente dell’ala sinistra Peronista, ndt).
L'avventura fallì e i guerriglieri che non furono catturati riuscirono a fuggire all'estero, soprattutto a Cuba, dove da poco si era instaurata la rivoluzione castrista.
Nel 1963 ebbe luogo l'incursione "guevarista" di Jorge Masetti (1924-1964? Militante argentito “Guevarista”. Scomparve nella foresta, ndt), che invase la provincia argentina di Salta dalla Bolivia (quando in Argentina c’era un governo democratico); incursione seguita dal disastroso tentativo di un'altro gruppo sovversivo, le Forze Armate Peroniste (FAP) che, alla maniera degli Uturuncos, intrapresero un nuovo tentativo, subito sventato dalle forze di sicurezza.
La Compañía de Monte “Ramón Rosa Jiménez”
Determinati a scatenare la guerra civile in tutto il paese, i dirigenti dell'ERP, con a capo Roberto Mario Santucho (1936-1976), iniziarono ad addestrare i loro quadri per inviarli sulle montagne della Tucumán, nel chiaro tentativo di iniziare le operazioni di combattimento. Tra l'ottobre 1973 e il maggio 1974, i primi combattenti iniziarono a convergere su Tucumán, con precise istruzioni di effettuare manovre di ricognizione, esplorare il terreno, adattarsi al clima e reclutare abitanti delle campagne, anche attraverso l'inganno e le false promesse.
Durante il mese di marzo, i sovversivi tennero corsi d’indrottinamento in mezzo alla foresta, dove una ventina di militanti, appena arrivati, ascoltarono l'arringa e le direttive del comandante “Carlos”, nome di battaglia di Santucho, che si era recato colà appositamente per ricevere il gruppo. I combattenti si mantennero lontani dalle aree popolate per evitare di essere scoperti, mentre allestivano i loro accampamenti nella boscaglia e accantonavano cibo, medicinali ed armi.
La roccaforte più importante della guerriglia in montagna, almeno in quella prima fase delle operazioni, fu l’Ingenio (fabbrica) Fronterita, la prima base operativa nella quale si stabilì il capitano “Santiago” (Hugo Irurzún, 1946-1980), comandante in capo della nuovissima Compañía de Monte: Mario Roberto Santucho, Manuel Negrín, Roberto Coppo, Antonio Fernández, Eduardo Pedro Palás, Salvador Falcón e altri 15 combattenti, quasi tutti provenienti dalle unità che l'ERP manteneva attive nei centri urbani.
Mario Roberto Santucho |
Un secondo accampamento con lo stesso numero di soldati fu allestito a Potrero Negro, sotto il comando del comandante “Raúl” (Leonel Juan Carlos Mac Donald, 1950-1976), e diversi altri più piccoli sorsero nei dintorni, sempre nel settore occidentale del provincia, tra i fiumi Lules e Salí, in una regione selvaggia e montuosa, ideale per le azioni dei gruppi guerriglieri.
Dopo aver completato il corso di formazione che consisteva in lezioni teoriche, esercitazioni di tiro, esercitazioni di pattuglia ed esercitazioni di resistenza fisica, l'ERP attese il momento opportuno per entrare in azione, cercando sempre di aumentare il numero di truppe, e la dotazione di armi e munizioni.
I leader sovversivi decisero di battezzare la compagnia con il nome di “Ramón Rosa Jiménez”, un fantomatico giovane di Tucuman, figlio di umili contadini, che si sarebbe iscritto al partito comunista nel 1968 per “…levare alta la bandiera della giusta violenza rivoluzionaria”[1] e che sarebbe morto nel 1971 per mano della polizia.
La zona delle operazioni
Tucumán è la provincia più piccola e più densamente popolata dell'Argentina. La sua superficie, di km² 22,524, ospitava allora una popolazione di 780,776 abitanti di cui il 64% nell'area urbana e il restante 36% nel settore rurale.
Attraversate da numerosi fiumi e torrenti, si stagliano a ovest le catene montuose dell'Aconquija e le valli Calchaquíes, con vette fino a 5000 metri sul livello del mare, dove in un remoto passato fiorirono antiche culture aborigene, che hanno lasciato le loro orme nelle rovine di fortezze, città, santuari e monumenti che oggi attirano centinaia di turisti.
La zona montuosa subtropicale della provincia è la più importante. È situata al centro e a ponente del territorio, ed è ricoperta da una vegetazione esuberante in cui abbondano alberi alti e grandi, felci, liane, viti e piante rampicanti che rendono impraticabile il passo su una vasta zona delle alture. Puma, gatti selvatici, volpi, varie specie di rettili, tartarughe e uccelli abbondano in questa regione, i cui centri popolati principali sono Acheral, Famaillá, Lules, Ibatín, Concepción e Monteros. La produzione si basa soprattutto su zucchero, agrumi, sorgo, mais, legumi, foraggi e tabacco oltre al gesso e al marmo provenienti dalle sue cave.
San Miguel del Tucumán fu fondata il 31 maggio 1565 da Don Diego de Villarroel (1520-1580). L’evento in realtà avvenne prima in un’altra località, dalla quale la capitale fu poi trasferita nel sito attuale, 65 km a nord, nel 1685. Fu lì che Manuel Belgrano (1770-1820) ottenne una significativa vittoria sull'esercito realista nel 1812, e dove proclamò l'Indipendenza del paese, il 9 luglio 1816.
Da San Miguel del Tucumán emersero personaggi illustri della storia Argentina, come il generale Gregorio Aráoz de La Madrid, Juan Bautista Alberdi, i presidenti Nicolás Avellaneda e Julio Argentino Roca, quest'ultimo comandante della Campaña al Desierto; e il vescovo José Eusebio Colombres che nel 1820 introdusse nella regione la coltivazione dello zucchero.
Il colonnello Eusebio González Bread afferma che “La zona scelta [dai guerriglieri] presentava due regioni perfettamente differenziate: una pianeggiante, situata a cavallo della strada n. 38 dove si trovano le principali città, la più alta densità di popolazione, le coltivazioni di canna da zucchero e gli stabilimenti industriali. L’altra montuosa, che si estende a ponente e parallelamente alla precedente. Sono montagne ricoperte da fitte foreste, che impediscono l’osservazione aerea e terrestre e ne limitano notevolmente la transitabilità”[2].
La regione è attraversata da un buon numero di strade che convergono sulla strada n. 157; e costituivano vere e proprie vie di fuga attraverso le quali i guerriglieri sarebbero potuti facilmente scappare.
Il clima presenta notevoli variazioni durante tutto l'anno. Ma il clima tropicale montano, del settore centrale, è il più comune, con piogge abbondanti, elevata umidità e alte temperature tra dicembre e marzo.
La situazione all’inizio della guerra
Le azioni dei rivoltosi a Tucumán iniziarono pochi mesi dopo la morte del presidente Juan Domingo Perón (1 luglio 1974). Il paese era nel caos e la violenza teneva con il fiato sospeso la società argentina.
Però, gli argentini vivevano nell’angoscia e nell’ansia già dal 1969. Gli omicidi di Augusto Timoteo Vandor e del generale Pedro Eugenio Aramburu, il “Cordobazo” (la rivolta nella città di Córdoba), il rapimento e l’assassinio di Oberdan Sallustro (direttore della filiale Concord della FIAT italiana), l’assedio di alcune città, i rapimenti, le bombe, gli attentati, il massacro di Ezeiza e l'apertura delle carceri ai sovversivi erano eventi ancora freschi nella memoria collettiva.
Si ricordavano ancora anche i sanguinosi sequestri di La Calera e Garín, dove i terroristi avevano colpito indossando uniformi della polizia; l'omicidio del sindacalista José Alonso nel 1970; i violenti attacchi contro commissariati di polizia e unità militari; l'esplosione della sede campestre del Jockey Club di Córdoba; l'omicidio a Rosario del tenente generale Juan Carlos Sánchez, comandante del II Corpo d'Armata (1972), dove morirono anche il suo autista e il proprietario di un vicino chiosco; la fuga in Cile dei principali leader della guerriglia (ottobre 1972), il “massacro” di Trelew del mese precedente, dopo un tentativo di fuga che causò anche la morte di 16 guerriglieri; l'attacco alla caserma del 141° Battaglione Comunicazioni di Parque Sarmiento, nella città di Córdoba; il sequestro della centrale nucleare di Atucha il 25 marzo 1973; l'omicidio del colonnello Héctor Alberto Iribarren, capo del Distaccamento di Intelligence 141 di Córdoba; la terribile morte del contrammiraglio Hermes Quijada; l'imboscata al segretario del sindacato dei metalmeccanici SMATA Dirk Henry Kloosterman mentre era in viaggio da La Plata a Buenos Aires; l'attacco al Comando Sanitario dell'Esercito; il clamoroso assassinio di José Ignacio Rucci, segretario generale della CGT, il 25 settembre 1973 e l'assalto al 10° reggimento di cavalleria corazzata con sede ad Azul, nella provincia di Buenos Aires, dove si trovavano il colonnello Arturo Gay e sua moglie.
Al momento dell'inizio delle azioni a Tucumán, il colonnello dell’esercito Argentino del Valle Larrabure era già stato rapito (sarebbe stato torturato e assassinato, dopo una lunga prigionia, un anno dopo), il 17° Reggimento di Catamarca era stato attaccato e il commissario Alberto Villar e sua moglie erano rimasti uccisi dall’esplosione di una bomba sulla sua barca da diporto sul fiume Tigre.
Gli antecedenti delle azioni sovversive nella provincia di Tucumán erano stati scioccanti. L'11 ottobre 1971 l'ERP fece irruzione nell'anagrafe di Villa Carmela, sequestrando documenti d'identità, macchine da scrivere e sigilli ufficiali del governo. Il 4 settembre 1972 la formazione rivoluzionaria attaccò la Compagnia dei Telefoni, rubando 30.000.000 di pesos e due giorni dopo attaccò il carcere di Villa Urquiza (Tucumán), uccidendo cinque guardie e liberando 14 guerriglieri. Il 4 ottobre dello stesso anno, il gruppo terroristico aveva preso il controllo del posto di polizia di San Felipe, nella zona rurale. Quindici giorni dopo, i Montoneros fece saltare in aria la sede del Jockey Club di Tucumán e il 9 dicembre l'ERP attaccò il proprietario della fabbrica “Norglas”.
Nel maggio del 1973, in un clima in totale ebollizione, mentre gli studenti prendevano il controllo di tutte le università, ci fu un nuovo tentativo di impadronirsi del carcere di Tucumán, Villa Urquiza, con migliaia di manifestanti che cercavano di sfondarne i cancelli di accesso.
L’inizio
Questa era la situazione quando il potente gruppo sovversivo cominciò ad operare nella provincia di Tucumán. Il 30 maggio 1974, alle 20,30, una colonna della “Compañía de Monte Ramón Rosa Jiménez”, divisa in cinque plotoni, occupò la località di Acheral, nel dipartimento di Monteros, prendendo il controllo della stazione di polizia, della stazione ferroviaria e dell'ufficio postale bloccando le vie di accesso. L'obiettivo fu raggiunto senza spargimento di sangue e alla fine i guerriglieri si ritirarono verso le montagne, senza subire vittime.
L'11 agosto dello stesso anno, l'ERP realizzò la sua prima grande operazione attaccando il 17° reggimento di fanteria aviotrasportata con sede a Catamarca, operazione che l'alto comando sovversivo pianificò con grande meticolosità, inviando nella zona di operazioni vari suoi comandanti.
I terroristi lasciarono i loro accampamenti prendendo la strada provinciale n. 38, e si diressero verso il territorio di Catamarca a bordo di un autobus Mercedes Benz della società “Point Sur”, precedentemente noleggiato, di un camion per il trasporto della frutta e di una camionetta Ford F-100. Si trattava di un totale di circa 70 guerriglieri pesantemente armati, determinati a prendere d'assalto l'unità militare in concomitanza con un attacco simultaneo, effettuato da un altro plotone che avrebbe attaccato la Fabbrica Militare di Villa María, nella provincia di Córdoba[3].
L'autobus con a bordo i guerriglieri si fermò a dieci chilometri da San Fernando del Valle de Catamarca, nel mezzo di una zona montuosa, scarsamente popolata e frequentata, dove i sovversivi procedettero a cambiarsi gli abiti con uniformi militari e a preparare le armi, cosa che fu notata da due persone che passavano. Molto allarmati, i due abitanti del posto, che andavano in bicicletta, si diressero verso un'abitazione vicina e avvisarono le forze di sicurezza che, sotto il comando del vice commissario Rolando Romero, montarono su diversi veicoli e si diressero verso il settore. Si verificò un violento conflitto a fuoco quando, una volta giunte davanti al pullman Mercedes Benz, le forze dell'ordine intimarono l’alt ai sovversivi.
I guerriglieri risposero al fuoco, costringendo la polizia a ripararsi dietro i suoi automezzi. Un agente riuscì ad avvisare via radio la base e poco dopo giunse un secondo distaccamento, nel momento preciso in cui i terroristi cominciavano a ritirarsi. Due sovversivi morirono e un terzo fu gravemente ferito e catturato ore dopo in una vicina azienda agricola.
Alla luce di quanto accaduto, il 17⁰ Reggimento, con il supporto della Polizia Provinciale, avviò un'operazione di rastrellamento che portò al ritrovamento del camion della frutta con cui gli aggressori erano arrivati nella provincia e dell'autobus Mercedes Benz con numerosi fori di proiettili sulla carrozzeria, entrambi abbandonati sulla strada.
Il gruppo estremista si era diviso in due colonne, una sotto il comando di Antonio Fernández e l'altra sotto il comando di Hugo Irurzún (Capitan Santiago) e stava cercando di riguadagnare la macchia e il proprio accampamento. Il primo gruppo, composto da una ventina di militanti, si diresse verso Capilla del Rosario, a circa 5 chilometri dal quartier generale del reggimento, dove i militanti tentarono di riorganizzarsi ma furono sorpresi dalle forze militari e ingaggiarono un nuovo combattimento.
“Il gruppo del 'Negrito', dopo diversi scontri armati con le forze di polizia, riuscì a ritirarsi in una zona boscosa... per riorganizzarsi e valutare le proprie perdite. Lì furono scoperti da una compagnia del 17° reggimento. I paracadutisti ordinarono ai guerriglieri di arrendersi e, quando questi si rifiutarono, aprirono il fuoco con armi automatiche, mortai e cannoni. Questo duro e violento scontro a fuoco durò quasi cinquanta minuti, con la morte di tutti i sovversivi. In uno dei precedenti scontri era morto un agente della polizia provinciale”[4].
Furono uccisi sedici sovversivi, mentre gli altri, che trasportavano diversi feriti, riuscirono a fuggire. Il gruppo Irurzún, invece, tornò a Tucumán e raggiunse le basi nella foresta dove li aspettava Mario Roberto Santucho, appena arrivato dalla Capitale Federale.
I guerriglieri minimizzarono la sconfitta sottolineando la vittoria ottenuta a Villa María, dove avevano fatto prigioniero il maggiore Larrabure. Lo avrebbero ucciso un anno dopo.
Scaramucce nella macchia
Tra il 13 agosto e il 2 settembre 1974, le forze dell'Esercito Argentino e della Polizia provinciale avviarono operazioni antiguerriglia nelle regioni di Famaillá, Raco, Tafi del Valle e Monteros. Non ottennero però grandi risultati poiché, avvertiti in tempo, i guerriglieri avevano abbandonato la regione.
Poco tempo dopo, l’ERP rafforzò le sue fila con nuovi combattenti e, dopo circa un mese, occupò la città di Santa Lucía, dove fucilò l’agente di polizia Eudoro Ibarra e il suo vicino Héctor Oscar Zaraspe, entrambi accusati di tradimento. Durante quell'azione i terroristi si impossessarono di armi e vettovaglie, oltre a documenti, timbri e 24.000 dollari in contante.
A quel tempo, la “compañía” aveva uno stato maggiore guidato da quattro comandanti che erano responsabili di compiti di intelligence, sanitari, politici e di personale. La massima autorità spettava a Mario Roberto Santucho, che andava e veniva frequentemente dalle aree urbane alla montagna. Lo assistevano Enrique Gorriarán Merlo, Benito Urteaga, Domingo Menna e Juan Carlos Molina; ma nella foresta la milizia sovversiva era comandata da Hugo Irurzún, il comandante generale al quale rispondevano i plotoni operanti nel settore.
L’assassinio del Capitano Viola e della sua bambina di tre anni
Uno dei colpi più efferati e sanguinari che l'ERP inferse a Tucumán fu l'omicidio del capitano Humberto Viola, ufficiale del distaccamento dei servizi di informazione 142 del 19° reggimento, con sede in quella provincia, e della sua figlioletta di tre anni María Cristina.
Dal 12 settembre 1974 i terroristi avevano avuto l'ordine di giustiziare qualsiasi ufficiale dell'Esercito argentino, ovunque si trovasse, come rappresaglia per “l'esecuzione” dei sedici compagni che avevano preso parte all'attacco al 17⁰ Reggimento Fanteria a Catamarca.
Il 1° dicembre, 11 guerriglieri lasciarono l'accampamento nella boscaglia e si diressero verso il capoluogo di provincia con l'obiettivo di eseguire un ordine appena arrivato da Buenos Aires: giustiziare il capitano Viola, dando così inizio alla serie di esecuzioni che l'alto comando dei sovversivi aveva organizzato come parte del suo sinistro piano d'azione. I terroristi erano comandati dall'implacabile Hugo Irurzún, aiutato da Pilín Gutiérrez, Federico Coutra Siles e dal sergente Lin, i quali, dopo un lavoro di sorveglianza e raccolta di informazioni, si diressero con diverse macchine alla casa del padre di Viola, sapendo che quella calda domenica la famiglia si sarebbe incontrata a pranzare.
L'ERP distribuì i suoi combattenti lungo il percorso, in attesa del veicolo di Viola. Il soldato arrivò con la moglie, María Cristina Picón, seduta accanto a lui e le sue due figlie piccole, di 5 e 3 anni, sul sedile posteriore.
Una volta davanti alla casa paterna, Viola fermò l'auto e rimase alla guida mentre la moglie, già incinta di cinque mesi, scese per aprire il garage. In quel preciso momento, uno dei veicoli sui quali viaggiavano i terroristi lo raggiunse e, dall'interno, gli spararono a bruciapelo. Quando colpirono il montante anteriore sinistro dell’auto di Viola, i proiettili raggiunsero, di rimbalzo, la piccola María Cristina, tre anni, uccidendola sul colpo.
Avendo fallito il primo tentativo, un altro guerrigliero (apparentemente Lin) scese con una mitraglietta e sparò una breve raffica che colpì Viola alla schiena, alla base del polmone sinistro.
Nonostante le ferite, il soldato riuscì a scendere dall'auto e cominciò a correre in direzione di via San Lorenzo, passando vicino al veicolo col quale i guerriglieri bloccavano la strada. La sua intenzione era quella di tenere il pericolo lontano dalla sua famiglia e attirarlo su di sé; obiettivo che aveva raggiunto, perché Lin gli correva dietro, pistola in mano (dato che la sua mitraglietta si era inceppata), sparando continuamente.
Viola crollò in mezzo alla strada, colpito nuovamente alla schiena. In quel preciso momento, un altro soggetto scese da una seconda vettura per sparargli una nuova raffica e dargli il colpo di grazia. Un terzo sovversivo si avvicinò a lui per sparare sul suo corpo inerte.
La confusione era terribile e la disperazione della moglie di Viola indescrivibile, vedendo la figlia più piccola morta sul sedile posteriore dell'auto e il marito crivellato al suolo.
Una volta terminata l'operazione, i terroristi abbandonarono il luogo, liberando i due tassisti che avevano rapito per rubare i loro veicoli, e tornarono sulle montagne, lasciandosi dietro un quadro sconvolgente.
L'apparato militare rivoluzionario
Lungi dal giovare alla guerriglia e dal guadagnarsi le simpatie del popolazione rurale e "proletaria", la morte del capitano Viola e di sua figlia provocò l'ira di tutti, generando un sentimento avverso, come mai era accaduto prima. Di conseguenza, Santucho ordinò di sospendere le stragi, ma promosse i quadri che avevano preso parte all'attacco, elevando Irurzún al grado di capitano, altri tre combattenti a luogotenente e altri undici a sergenti, uno dei quali, fu designato portabandiera.
Si trattava, a quel punto, di una vera e propria armata, con uniformi militari, stato maggiore, comando, insegne e un proprio inno; e dotato da quel momento in poi di un potente apparecchio radio che lo manteneva in contatto con Buenos Aires, Córdoba, Santa Fe, e anche con l'estero.
Un numero consistente di questi combattenti proveniva dall'estero, soprattutto da Cuba, dall'America centrale, dalla Bolivia, dal Perù, dalla disciolta banda dei Tupamaros dell'Uruguay e persino dai paesi dell'Europa orientale.
Gli alti comandanti rivoluzionari erano così sicuri, così arroganti e sicuri di sé, che sentendosi abbastanza potenti, cercarono di negoziare davanti all’ONU e all’OSA (Organizzazione degli Stati Americani) il riconoscimento di Tucumán come “territorio liberato”, obiettivo che, se raggiunto, gli avrebbe donato una forza inusitata.
“Le armi utilizzate erano simili a quelle delle forze di sicurezza, fucili FAL, mitragliatori PAM, fucili ad anima liscia Batan, bombe a mano, alcuni lanciagranate Energa e l'efficace mitragliatrice Yarará fatta in casa. Le armi da pugno erano dell'origine più varia. Maneggiavano alla perfezione trappole esplosive, mine tipo vietnamita, il TNT e la gelatina esplosiva. Durante la permanenza in montagna si accampavano negli 'embutes' o 'tatuceras', una sorta di nascondigli costruiti con legno e rami nei cespugli, sorvegliati da sentinelle appollaiate sugli alberi. In questi campi nascondevano il cibo, le armi e i vestiti quando i terroristi non operavano in montagna. Man mano che si raggiungeva l'accampamento percorrendo tortuosi sentieri, i posti di sentinella venivano superati utilizzando parole in codice, alle quali rispondevano i guerriglieri di turno. Le comunicazioni tattiche venivano effettuate mediante l'utilizzo dei moderni Handy-Talkye di origine americana”[6].
“Operativo Independencia”
Nei giorni successivi alla morte del capitano Viola si verificarono nuovi atti di violenza. Un camion che trasportava zucchero allo stabilimento industriale della Norwinco fu assalito e depredato.
Sabato 18 gennaio 1975, una colonna guerrigliera occupò la fattoria Norry, a Potrero de Las Tablas, costringendo i residenti a recarsi al magazzino comunale per ascoltare un comizio di tre dei loro militanti. Dopodiché, i sovversivi si recarono a casa di un presunto “informatore”, soprannominato Córdoba, e lo spinsero fuori davanti alla sua famiglia. Poi, sequestrarono cibo, armi e apparecchiature radio e, dopo aver appiccato il fuoco alla stazione di polizia, si ritirarono, giustiziando l'ostaggio qualche chilometro dopo dopo averlo sottoposto a un interrogatorio.
Cinque giorni dopo, il dottor Juan Mario Magdalena fu assassinato nel capoluogo di provincia.
Considerando la piega che stavano prendendo gli eventi, il governo argentino, guidato dalla presidente María Estela Martínez de Perón (1931-vivente), decise di adottare misure per contrastare gli effetti delle azioni di guerriglia, emanando il 5 febbraio 1975 il Decreto N° 261.
La Presidente Argentina María Estela Martínez de Perón con il Dottor. Ítalo Luder. Furono loro a mettere in atto l'Operativo Independencia. |
Nel suo Articolo 1 il Decreto stabiliva: “Il Comando Generale dell'Esercito procederà all'esecuzione delle operazioni militari necessarie per neutralizzare e/o annientare le azioni degli elementi eversivi che agiscono nella Provincia di Tucumán”.
Il secondo articolo così recitava: “Il Ministero dell’Interno metterà a disposizione e sotto il controllo operativo del Comando Generale dell’Esercito le truppe e i mezzi della Polizia Federale necessari tramite il Ministero della Difesa per l’uso nelle operazioni di cui all’art. 1°”
e il terzo articolo diceva:
“Il Ministero dell'Interno richiederà all'Esecutivo della Provincia di Tucumán di fornire e porre sotto controllo operativo i mezzi di polizia richiesti dal Ministero della Difesa (Comando Generale dell'Esercito), per il suo impiego nelle operazioni specificate”.
Quando ciò fu reso noto, la guerriglia si spostò alla periferia del dispositivo predisposto dalle Forze Armate, lasciando un piccolo gruppo di combattenti nel settore centrale: un piano tattico con il quale si prevedeva di contrastare qualsiasi eventuale retata dell’esercito.
Fu in quel periodo che le Forze Armate subirono la prima significativa perdita della guerra quando un aereo DHC-6 Twin Otter (matricola AE-259) dell'Aviazione dell'Esercito che aveva a bordo i generali di brigata Enrique Eugenio Salgado, comandante militare del III Corpo d'Armata e Ricardo Agustín Muñoz, comandante della V Brigata, precipitò uccidendo tutte le persone a bordo.
Il DHC-6 Twin Otter AE-259 dell'Aviazione dell'Esercito Argentino |
L'aereo, che stava effettuando un volo di ricognizione sulla zona delle operazioni, si schiantò in una zona boschiva, nel cuore delle montagne di Tucumán, il che fu un duro colpo per le forze governative.
E anche se si era trattato di un incidente, l'ERP si attribuì la distruzione del velivolo, intensificando così la sua azione psicologica.
L’Esercito argentino si mobilita
Il 9 febbraio 1975, colonne motorizzate dell'esercito argentino iniziarono a confluire verso Tucumán per iniziare le operazioni di guerra.
La mobilitazione riguardò il 19° Reggimento di Fanteria (RI 19), la 5a Compagnia d'Arsenale (Ca. Ars. 5) e la 5a Compagnia di Comunicazioni (Ca. Com. 5) con sede a Tucumán; il 28° Reggimento Fanteria di Montagna (RIM 28), il 105° Distaccamento Cavalleria Esplorazione (DEC 105), alla 5a Compagnia Sanitaria (Ca. Sanid. 5) e la 5a Compagnia Genio da Montagna (Ca. Ing. Mta 5) di Salta; il 20⁰ Reggimento di Fanteria da Montagna (RIM 20) e il Gruppo di Artiglieria da Montagna 5 (GAM 5) con sede a Jujuy, tutte unità della V Brigata di Fanteria a cui faceva capo il Battaglione dell'Aviazione 601, forza composta interamente da elicotteri; inoltre, il Gruppo di Operazioni Elettroniche 602, il personale dell'Aviazione Navale, i vari livelli logistici, la Polizia Federale, la Polizia della Provincia di Tucumán e la Gendarmeria Nazionale, tutti agli ordini del generale Acdel Edgardo Vilas, il quale, dopo la morte dei generali Salgado e Muñoz, era stato nominato a capo dell'operazione (il 13 gennaio).
In capo a un mese, il generale Vilas elaborò un piano tattico consistente nell'avanzata e nell'occupazione della zona dominata dalla guerriglia e in missioni di pattugliamento permanente per individuare i loro centri di operazioni.
A tal fine, installò il suo comando generale a Famaillá, disponendo, allo stesso tempo la creazione di altre tre basi come quartieri generali delle task force operative (FT), una a Los Sosa, un'altra a Santa Lucía e la terza a La Fronterita, aggiungendo ad essi, qualche tempo dopo, una quarta base per le truppe del 22° Reggimento di Fanteria da Montagna (RIM 22) di San Juan.
Temendo un ritiro massiccio dell'ERP verso le aree urbane, il comando ordinò anche la creazione di altre due basi, una a San Miguel de Tucumán e un'altra a Concepción, destinate a neutralizzare i quadri sovversivi che si trasferivano fuori dalla zona delle operazioni o che cercassero di dirigersi verso di essa.
Prime incursioni nei boschi
I primi ingressi nella zona di operazione montana furono effettuati dal commissario Alberto Villar, alla guida della sua squadra di “Centuriones” della Polizia Federale nel maggio del 1974. Seguito pochi mesi dopo dall'allora maggiore Mario Benjamín Menéndez, che vi penetrò due volte, la prima in agosto e la seconda in novembre, senza individuare il nemico che, allertato da spie nel capoluogo di provincia, si sottrasse al combattimento.
Sia Villar che Menéndez scoprirono nascondigli, rifugi e diversi campi abbandonati ma non vi trovarono nessun sovversivo.
Sulla base di questa esperienza, il generale Vilas mise in pratica la propria strategia, effettuando pattugliamenti costanti, simili a quelli effettuati da Villar e Menéndez.
Tuttavia, il 2 novembre 1974, la “Compañía de Monte” dei terroristi prese il controllo di Los Sosa e, ostentando la sua sicurezza e fiducia, sfilò anche in una parata che terminò quando i suoi leader issarono la loro bandiera sull'asta di una scuola.
Come spiega Ricardo Burzaco in Infierno en el monte tucumán, a quel tempo l'ERP disponeva di un'importante infrastruttura di retrovia, soprattutto a San Miguel de Tucumán, un punto dal quale operavano tre componenti: i combattenti stessi, i militanti e i simpatizzanti che, dalle loro posizioni di “lotta”, monitoravano e raccoglievano informazioni sulle forze di sicurezza. Ma anche l'Esercito e la polizia lavoravano incessantemente e le informazioni che quotidianamente giungevano alla centrale operativa della V Brigata da diverse parti del Paese avrebbero consentito di ridurre i movimenti del nemico, riducendone notevolmente il personale.
Avendo bisogno di rinforzi, l'ERP iniziò un'importante attività di reclutamento, selezionando attentamente le truppe che avrebbe inviato nella zona di combattimento. In considerazione di ciò, e approfittando del fatto che i membri della Compañía de Monte si erano momentaneamente ritirati nelle aree urbane, il generale Vilas e le sue forze penetrarono nell’area rurale per perlustrare il terreno e acclimatarsi alla condizioni della foresta.
Il piano tattico della V Brigata di Fanteria prevedeva l'occupazione dei punti critici, la neutralizzazione delle possibili vie di fuga, il progressivo esercizio del controllo sulla popolazione nelle diverse località, il controllo delle vie interne e delle vie di accesso alla provincia, la progressiva intensificazione del pattugliamento offensivo, l’intensificazione delle azioni contro la guerriglia urbana, la parallela attuazione di un programma di azione civica sulla popolazione e movimenti tattici verso nuove aree di combattimento.
Lo scontro della Quebrada (stretta valle, ndt) de Lules
Le azioni su larga scala iniziarono il 9 febbraio 1975, quando una compagnia della Guardia di Fanteria della Polizia Federale che stava esplorando la strada tra San Pablo e Potrero de La Tablas a bordo di un'unità mobile, si ritrovò sotto un fuoco continuo proveniente da cinque diverse posizioni in cima a una collina situata tra due burroni.
I sette guerriglieri che partecipavano all'imboscata erano guidati da un osservatore situato in un “mangrullo” cioè una torretta di legno improvvisata, sulla cima di un albero, ma non furono molto efficaci quando si trattò di sparare.
Fatta segno ad una nutrita gragnuola di colpi, comprendente proiettili di FAL e bombe a mano, l'unità mobile su cui viaggiava la polizia accelerò e si fermò duecento metri dopo.
Una granata lanciata da un FAL esplose sopra il burrone, dall'altra parte della strada, provocando una nuvola di fumo che consentì facilmente alla polizia di tornare sui propri passi e passare nuovamente davanti alle postazioni dei guerriglieri ma in direzione opposta, ricevendo però vari colpi che forarono la carrozzeria dei loro veicoli.
Le forze dell’ordine, con due feriti al seguito, scesero dal veicolo e respinsero l'attacco, costringendo i terroristi alla ritirata.
Gli agenti di polizia si lanciarono all'inseguimento dei sovversivi in fuga, risalendo la collina, lasciandosi dietro un compagno per chiedere aiuto medico. Dopo pochi minuti giunsero ad un accampamento abbandonato in mezzo alle montagne, dove verificarono l'esistenza di punti fortificati, di un "mangullo" e di uno spazio sgomberato per piantarvi le tende.
Lo scontro del Río Pueblo Viejo
Cinque giorni dopo, un più grande scontro ebbe luogo molto vicino alla città di Yacuchina, vicino al fiume Pueblo Viejo, dove le truppe dell'esercito si scontrarono con un gruppo di venti o trenta guerriglieri che operavano nel settore.
Quel giorno, una compagnia del 20° Reggimento di Fanteria da Montagna e una batteria del 5° Gruppo di Artiglieria da Montagna, con sede nella scuola di Los Sosa, intrapresero una missione esplorativa in direzione di Villa Quinteros. Le truppe dell'Esercito partirono con due camion, verso la Strada Nazionale Nº 38, lasciandosi alle spalle Monteros, dopo aver attraversato il ponte sul fiume Pueblo Viejo.
Giunsero senza problemi a Villa Quinteros, dopo aver attraversato León Rouges e, dopo una breve sosta in quel punto, ripresero la marcia lungo una strada secondaria che passava per La Florida, costeggiando sempre sulla destra la grande riserva forestale.
Dopo aver attraversato Pueblo Viejo, un borgo storico che un tempo era stato l'antica città di Tucumán, i soldati, che avevano come guida un civile, smontarono e continuarono la marcia a piedi, impossibilitati a proseguire sui loro mezzi.
La bibliografia militare specializzata nella guerra anti-sovversiva ha l'abitudine di omettere i nomi dei valorosi combattenti che combatterono a Tucumán, ad eccezione di quelli che morirono in combattimento. Si tratta di una misura precauzionale che però impedisce di riprodurre nei dettagli le azioni avvenute in un conflitto così tremendo e di onorare coloro i quali hanno rischiato la vita per la difesa del Paese.
Secondo il col. González Bréard, il gruppo di testa era guidato dalla fanteria sotto il comando del tenente R., con il tenente C. come ufficiale di comando. Il plotone, diviso in due squadre di trentasette soldati ciascuna, iniziò la sua avanzata (secondo i sovversivi, avevano anche cani), pattugliando i fianchi per garantirsi protezione fino a una distanza di 200 metri.
Fortunatamente, grazie al lavoro di Ricardo Burzaco, sappiamo che “R” era il coraggioso tenente Rodolfo Richter e “C” era il primo tenente Héctor Cáceres, entrambi con una grande attitudine al comando e membri della Fuerza de Tareas (FT, Task Force) “Chañí”.
Alle 16:00, il plotone raggiunse le chiuse del fiume Pueblo Viejo dove fu disposta una sosta. A quel punto, gli ufficiali in comando decisero di rientrare in paese ma attraverso un percorso diverso, costeggiando il corso del fiume per coprire un raggio d'azione più ampio.
Le truppe erano in piena marcia quando, alle 17, il tenente Richter vide un uomo armato su una strada laterale. Il soggetto indossava un'uniforme e, senza dire una parola, aprì il fuoco costringendo l'ufficiale a cercare protezione.
Mentre si ritirava verso un gruppo di cespugli sopra un monticello, Richter fu colpito alla schiena da un colpo di fucile a canna liscia Ithaca e cadde gravemente ferito mentre, intorno a lui, infuriava il combattimento.
Vedendo il suo compagno al suolo, il tenente Cáceres corse al suo fianco per aiutarlo e proteggerlo, senza smettere di sparare. Fu ucciso da un colpo alla spalla destra che lo scaraventò sull'erba, morendo quasi sul colpo (il proiettile fu deviato dalla scapola e gli trapassò il cuore). Vedendo quella scena, mentre il combattimento si intensificava, Richter, ancora cosciente, prese una granata e la lanciò contro gli aggressori, confermando, man mano che il fumo si disperdeva, che uno di loro era morto.
Lo scontro a fuoco a quel punto era infernale e, nel pieno del combattimento, gli aeromobili apparvero per la seconda volta, lanciando i loro razzi verso la linea nemica sulla sponda sinistra del fiume. La salva di razzi uccise vari sovversivi, mentre uno degli elicotteri atterrava su un piccolo isolotto, vicino alla riva destra, per evacuare i feriti.
I combattimenti erano ancora in corso quando il tenente Richter fu evacuato in barella sull'elicottero e portato a Tucumán.
I guerriglieri, nonostante la ferocia con la quale avevano combattuto, cominciavano a dare segni di stanchezza e decisero di ritirarsi, imboccando un sentiero verso ovest mentre un primo reparto dell'Esercito fece una deviazione verso sud senza riuscire però a chiudere l'accerchiamento.
Un Bell UH-1H dell'Esercito si posa dopo il combattimento del Río Pueblo Viejo |
Al calare della notte, le forze nazionali poterono constatare che due guerriglieri erano stati uccisi mentre le loro fila avevano subito l’uccisione di un ufficiale, il tenente Héctor Cáceres, un’altra grave perdita, quella del tenente Richter, rimasto paralizzato a vita, e altri due feriti gravi, il sottotenente Daniel Arias e il primo caporale Ángel Orlando Orellana.
Azioni successive
Il combattimento sul fiume Pueblo Viejo colse di sorpresa entrambe le parti e mise alla prova le rispettive capacità. Nei giorni successivi, le azioni si intensificarono notevolmente quando l'ERP riorganizzò i suoi plotoni e lanciò nuove operazioni. Una di queste ebbe luogo il 26 febbraio nello zuccherificio La Fronterita (Famaillá), dove si verificò un nuovo scontro armato.
Due giorni prima, un nuovo incidente aereo aveva avuto un profondo impatto sull'andamento delle operazioni, quando un aereo militare dell'Aviazione dell'Esercito, la cui missione era di pattugliare la zona di combattimento, si era schiantato sul versante orientale dei monti Aconquija. I suoi due membri dell'equipaggio, il primo tenente Carlos María Casagrande e il sottotenente Gustavo Pablo López, morirono sul colpo e i loro resti, insieme a quelli dell'aereo, furono ritrovati due anni e mezzo dopo, coperti dalle erbacce, da un soldato che pattugliava la zona.
Fu in quell'occasione che il generale Acdel Vilas decise di estendere il raggio delle operazioni alle città di Lules, Tapia (nord) e Villa Nougués (sud), includendo El Cadillal e Tafi Viejo e portare la guerra negli angoli più profondi della boscaglia, dove fino a quel momento la guerriglia aveva regnato sicura.
Nel mese di marzo, un gruppo di guerriglieri che cercava di scalare il pendio di una montagna vicino ad Acheral venne intercettato da una pattuglia dell'esercito che li mise in fuga. Nelle azioni vennero uccisi due sovversivi e venne sequestrato un potente apparato radio che si rivelò estremamente utile nelle azioni successive.
Il 3 aprile, un plotone della FT “Rayo” stava attraversando il ponte sul Río Seco quando ricevette un intenso fuoco nemico da posizioni vicine al corso d'acqua. I soldati si gettarono a terra e respinsero l'aggressione, uccidendo due terroristi e costringendo gli altri alla fuga.
Nove giorni dopo, in un nuovo scontro a Ischillón, cadde il soldato Gutiérrez (classe 1954) e rimase ucciso un altro membro dell'ERP.
In altri scontri vicino al fiume Lules (5 aprile), ad Atahona (29 aprile) e Ibatín (29 aprile), caddero altri quattro terroristi, e successivamente vennero scoperte un numero significativo di postazioni e accampamenti che le forze armate distrussero, dopo aver sequestrato armi, munizioni e documentazione importante.
Operazioni di rastrellamento
Il piano del generale Vilas sembrava avere effetto. Nel mese di aprile le forze eversive avevano subito diversi rovesci e si trovavano disorientate. E quando il flusso di fondi fu interrotto, cominciarono anche le diserzioni.
La situazione divenne preoccupante per l'alto comando dell'ERP che, in una riunione di emergenza, decise di approfondire la formazione del proprio personale onde evitare che abbandonasse l'area delle operazioni.
L’esercito argentino mobilitò le sue forze schierando lo squadrone “San Juan” della Gendarmeria a sud del fiume Pueblo Viejo, coprendo l’area fino alla Strada Nazionale 65 in seguito al riorientamento che la guerriglia aveva manifestato facendo incursioni a San Pedro, Taco Ralo, Lamadrid, Atahona, Río Seco, Concepción, León Rugés e Simoca.
Il provvedimento permise l'individuazione di quattro nuovi accampamenti vicino a La Higuera. La Compagnia di Comunicazioni 5 subito dopo sferrò un violento attacco, sfrattandone gli occupanti e procedendo a far saltare gli accampamenti; cosa che si ripetè in altri punti vicino al bacino idrico di Escaba.
Quindi, un ampio settore precedentemente occupato dalla guerriglia tornò sotto il controllo delle forze nazionali. Vi furono azioni anche nel nord-ovest della provincia, quando la FT “San Martín” soppresse un movimento sovversivo volto ad aprire nuovi fronti in quel settore.
Tuttavia, non tutto andò a buon fine perché l’ 11 maggio ci fu una sparatoria in un posto di blocco situato sulla Strada Provinciale 301, nella quale morì il sottotenente Raúl Ernesto García. Il gruppo sovversivo che lo attaccò era comandato dal sergente Lin, di origine boliviane.
Il combattimento di Manchalá
Alla fine di maggio, il comando supremo dell'Esercito Rivoluzionario Popolare si riunì a San Miguel de Tucumán per pianificare nuove azioni armate.
I guerriglieri, guidati da Manuel Negrín, Julio Abad e Wilfredo Siles, decisero di attaccare il Posto di Comando Tattico della V Brigata di Fanteria, chiamando a raccolta tutte le loro truppe con l'obiettivo di occupare Famaillá, neutralizzare le posizioni dell'esercito, assassinare Il generale Vilas e prende degli ostaggi da poter scambiare in seguito.
Con questo colpo i sovversivi intendevano risollevare il morale dei loro combattenti, che a quel punto era piuttosto basso a causa dei recenti insuccessi. Erano anche i tempi in cui i capi rivoluzionari, attraverso una pubblicazione apparsa a Parigi, rivendicavano la lotta armata e si vantavano di aver tenuto impantanata una brigata di 4.000 soldati con soli 300 combattenti.
Riunendo i suoi quadri principali, tra cui alcuni membri del PRT (Partido Revolucionario de los Trabajadores, partito rivoluzionario dei lavoratori, ndt) di Córdoba e Santa Fe, ma anche elementi provenienti dall'estero (Bolivia, Perù, America Centrale), l'ERP mise insieme un totale di 180 uomini di prima linea più un numero imprecisato di simpatizzanti pronti ad intervenire[7].
Lo ERP divise le sue forze in sei colonne: il Grupo Comando con a capo il capitano Lin, con l'assistenza del Sergente "Julio" e composto da nove elementi, che avrebbe avuto il compito di dirigere le operazioni; il Grupo de Asalte 1, sotto il comando di “Roberto” la cui missione era quella di catturare il posto tattico, impossessarsi delle armi e annientare quanto più personale possibile; il Grupo de Asalte 2, (composto da 12 uomini) che avrebbe attaccato un obiettivo da definire, dal quale poi avrebbe tentato di impedire l'arrivo dei rinforzi; il Grupo de Seguridad (Gruppo di Sicurezza), sotto il comando del Sergente “Bartolomé”, la cui missione era quella di conquistare il ponte sul fiume Famaillá; il Gruppo “Plaza”, che avrebbe sostenuto il Grupo de Asalte 1, coprendone il ritiro (40 uomini) e il reparto sanitario incaricato di evacuare i feriti.
“La piccola scuola di Manchalá si trova in un luogo sulla Strada Provinciale N. 99, a 10 chilometri dalla Strada Provinciale N. 38. Questo è il punto dove la strada fa una curva. Nella piccola scuola, un ridotto numero di soldati appartenenti alla 5⁰ Compagnia del Genio di Montagna di Salta, si stavano dedicando alla riparazione dell'edificio, come uno dei tanti compiti di intervento civico che l'Esercito svolgeva nell’ambito dell'operazione antirivoluzionaria."
In un’azienda agricola vicina, l'ERP saliva a bordo dei suoi mezzi motorizzati e partiva, trasportando un totale di 180 combattenti pesantemente armati. La colonna consisteva in una camionetta Ford F-100 come veicolo principale, un camion Mercedes Benz 608 verde, un altro 1114 color bordeaux, del peso di quattro tonnellate ciascuno, e un Rastrojero (fuoristrada) diesel.
Intorno alle 17,30, i veicoli dei terroristi che avanzavano in colonne lungo la Strada Provinciale 38 si imbatterono in un camion Benz Unimog dell'Esercito Argentino che era fermo accanto alla strada, all'estremità della curva, dove si trovava la scuola.
Vedendo un soldato in piedi accanto al veicolo, i terroristi smontarono e aprirono il fuoco costringendolo a mettersi al riparo.
Udendo gli spari, i dieci soldati che lavoravano all'interno dello stabilimento, due dei quali erano sottufficiali, presero le armi e uscirono per ingaggiare il combattimento.
Un guerrigliero cadde morto a pochi metri dalla strada e altri due rimasero feriti, mentre i loro compagni si raggruppavano e cercavano di circondare la scuola. Sparando da diversi settori, i sovversivi colpirono un soldato che cadde gravemente ferito accanto alla porta mentre i suoi compagni cercavano di coprirlo con pesanti raffiche dal loro riparo.
Si udì una voce che chiedeva la resa, ma le truppe fedeli al governo la ignorarono.
Centoquaranta ribelli che attaccano dieci o dodici soldati all'interno di una piccola scuola rurale rievocavano un’immagine tipica delle gesta eroiche dei tempi dell'Indipendenza argentina e delle guerre civili del XIX secolo; ma allo stesso tempo costituivano una vera trappola da cui sembrava impossibile uscire.
Vedendo che il soldato ferito non poteva muoversi, i suoi compagni gli lanciarono una corda e gli dissero ad alta voce di tenerla saldamente per trascinarlo dentro. E così fu. Afferrando saldamente la corda, il soldato fu trascinato nell'edificio mentre i proiettili del nemico gli fischiavano intorno.
Nel fragore del combattimento, sette militari dell'esercito che lavoravano a Balderrama accorsero sul posto per sostenere i loro colleghi. Furono ricevuti con pesanti raffiche che causarono fra di loro una vittima (un soldato ferito), e li costrinsero a gettarsi al riparo di una spalletta in cerca di protezione, proprio nel momento in cui un altro camion dell'Esercito con cinque uomini a bordo stava arrivando lungo la strada.
Dai vicini canneti i sovversivi concentrarono il fuoco sul veicolo, ferendo un altro soldato mentre la loro colonna motorizzata cercava di riprendere la marcia. Tuttavia, la loro unità di testa si impantanò impedendo ai veicoli seguenti di muoversi.
La sparatoria era molto intensa, quando uno dei militari riuscì ad eludere l'accerchiamento e si precipitò verso il comando della Brigata, per dare l’allarme.
Impartiti gli ordini, partirono per la zona di combattimento tre camion con cinque ufficiali e dieci soldati che arrivarono alla scuola quando già cominciava a fare buio.
Vedendo le luci dei mezzi, i sovversivi pensarono che quelli che si avvicinavano fossero i rinforzi, e decisero di disimpegnarsi.
Lo fecero in tutta fretta, infilandosi nella boscaglia, in direzione della strada 301, lasciando dietro di sé due morti, Domingo Villalobos Campos e Juan Carlos Irustia; due feriti gravi, Héctor Burgos e un individuo soprannominato "El Hippie" insieme a due camion danneggiati, tre furgoni, tre radio, cinque fucili FAL, due mitragliatrici, dieci fucili, quattro carabine, due rivoltelle, sei pistole, ventisei granate a mano, altre ventotto granate anticarro, ottanta bombe Molotov e tremilacento proiettili, oltre a strumenti chirurgici, indumenti militari, un plastico del posto di comando tattico, dell’altro equipaggiamento e una bandiera.
Un'ora dopo, terminato lo scontro, giunsero sul posto uno squadrone della Gendarmeria Nazionale e una squadra di combattimento della Task Force “Rayo”, con l'ordine di iniziare l'inseguimento notturno del nemico in fuga.
Quindici giorni dopo, l'ERP avrebbe abbandonato i suoi feriti nella foresta.
Lo scontro di Manchalá fu una delle battaglie più importanti della guerra di Tucumán; e fu un duro colpo per la sovversione poiché un piccolo gruppo di soldati, dediti a compiti comunitari, era riuscito a respingere una forza numerosa e molto meglio equipaggiata.
Il comunicato apparso su “Estrella Roja” (Stella Rossa, rivista pubblicata dall’ERP) confermava il numero dei combattenti impegnati nello scontro, ma mentiva palesemente quando si parlava di mezzi corazzati, dominio aereo, un alto numero di truppe governative, venti morti dell'esercito, il doppio dei feriti e una ritirata ordinata. Si trattava di un disperato tentativo di far credere all'opinione pubblica che la “lotta” fosse ancora in corso con più fermezza e determinazione che mai.
Nuovi scontri nella boscaglia
Tra giugno e luglio 1975 le FF. AA. argentine misero in atto due nuove operazioni, “Parapa” e “Péndulo”, con l’obiettivo di pattugliare, tendere imboscate e rastrellare la zona delle operazioni.
L'intenzione era quella di “attirare” i guerriglieri fuori dalle loro tane e costringerli a combattere in campo aperto, sapendo che, su quel terreno, potevano essere sconfitti. In base a questo piano, la V Brigata ricevette rinforzi che portarono i suoi effettivi a 4800 soldati e iniziò i preparativi per addentrarsi sulle montagne del Tucumán.
D'altra parte, la documentazione raccolta a Manchalá aveva permesso di accertare che la guerriglia godeva di un forte appoggio a San Miguel de Tucumán, dove avevano stabilito il loro domicilio almeno 402 persone dell'organizzazione.
Durante questa seconda fase dell'operazione, furono uccisi altri terroristi: quattro il 23 giugno quando l'Esercito tese un'imboscata a una colonna di guerriglieri nell'INTA (Instituto Nacional de Tecnología Agropecuaria), un altro quando le FT “Chañí” e “Rayo” fecero irruzione a Las Maravilla; un sesto al passaggio di Los Sosa e altri due quando l’esercito si scontrò con elementi della “Compañía de Monte” a sud-ovest di Famaillá.
Il 18 luglio, l'ERP tentò un attacco contro le forze situate a Las Maravillas, un villaggio vicino a Los Sosa, mobilitando una squadra di 40 combattenti al comando di Lionel MacDonald. Il gruppo ingaggiò un feroce combattimento notturno vicino all'obiettivo, uno scontro che si concluse con la morte di due aggressori e la fuga del resto della popolazione.
I sovversivi si raggrupparono nel campo di El Tiro e pubblicarono un nuovo rapporto di guerra affermando che, alle 20:30 del 18 luglio 1975, l'unità combattente “Sargento Dago” aveva attaccato i posti di guardia della Task Force “Chañí”, in uno scontro che era durato quasi tre ore. Dodici giorni dopo, l'esercito argentino scoprì il suddetto accampamento, uccidendo due dei suoi difensori e mettendo in fuga gli altri, che fuggirono a sud attraverso la boscaglia.
I sovversivi però caddero in un'imboscata molto ben pianificata, nella quale morì il combattivo sergente Lin, di origine boliviana, che aveva partecipato a gran parte del conflitto. Il campo di El Tiro venne fatto saltare con la dinamite, e furono sequestrati i fucili FAL.
Quello stesso giorno, l' Ejército Revolucionario del Pueblo tese un'imboscata ad un camion Unimog a La Antonieta, uccidendo un soldato e ferendone gravemente altri tre, tra cui un ufficiale, quasi nello stesso tempo in cui la FT “Chañí” si scontrava con altri plotoni di sovversivi in diverse parti della regione.
Il 5 agosto, il tenente José Conrado Mundani morì mentre cercava di disattivare una trappola esplosiva. Cinque giorni dopo la direzione militare poté constatare che l'ERP intendeva aprire nuovi fronti a Salta e Jujuy, e soprattutto nella regione di Ingenio Ledesma; e anche aumentare la sua presenza in centri urbani come la città di Córdoba, Villa Constitución (provincia di Santa Fe) e San Nicolás de los Arroyos.
Guerra Aerea
Tra i mesi di agosto e settembre del 1975, il comando supremo della V Brigata di fanteria ordinò lo spostamento nel settore sud dello squadrone “Jesús María”, che subito dopo aver ricevuto l'ordine, mobilitò le sue unità verso il perimetro formato dai centri abitati di Aguilares, Trinidad e Monteagudo, un vasto settore compreso tra i fiumi Marapa e Gastona, a est del bacino idrico del Río Hondo, sul quale stavano convergendo i guerriglieri con la ferma intenzione di avviare altre operazioni.
Durante la missione si verificò uno scontro a Las Mesadas dove fu ucciso il primo caporale Miguel Dardo Juárez e furono feriti alcuni sovversivi, anche se non è stato possibile determinare il loro numero esatto.
Era il preludio a un evento destinato a sconvolgere l’opinione pubblica nazionale.
Dal 1974, nella zona di combattimento operava un sistema di navigazione Omega acquistato negli Stati Uniti. Il governo aveva poi a disposizione un sistema di sensori a infrarossi da montare su unità aeree con lo scopo di rilevare le posizioni nemiche.
All’uopo, fu selezionato un aereo Beechcraft B-80 della Marina argentina, matricola 4-F-21, appartenente al Gruppo Aerofotografico del Comando dell'Aviazione di Punta Indio, che era giunto all'aeroporto “Benjamín Matienzo” nel città di Tucumán, il 12 febbraio 1975 ed iniziò immediatamente ad operare. Il velivolo portava la sigla dell'Istituto Nazionale di Geodetica con personale a bordo vestito in abiti civili[8].
Un Beech B-80 Queen Air della Marina Argentina. |
Altre aeromobili si unirono all'operazione nei mesi successivi, tra cui quattro elicotteri UH-1H della Sezione d'Assalto dell'Aviazione dell'Esercito e due aerei Piper L-21B del 601° Battaglione Aeromobile della stessa arma, con la corrispondente squadra di manutenzione. Queste unità sarebbero state rinforzate alla fine del conflitto da altri cinque UH-1H, un elicottero SA 315 B Lama e un Hiller FH 1100, gli ultimi due della Gendarmeria Nazionale.
Da parte sua, la Marina argentina schierò, oltre al Beechcraft B-80, un Grumman HU-16B Albatross per la ricerca e il salvataggio, un elicottero Alouette III e numerosi lanciarazzi di fabbricazione nazionale da montare sugli aeromobili.
Quando le azioni si intensificarono nell'ottobre 1975, l'Aeronautica Militare Argentina, che aveva già avuto il suo battesimo del fuoco il 16 giugno 1955, inviò nella regione prototipi pre-serie di aerei FMA IA 58 Pucará, che sarebbero entrati in combattimento per la prima volta durante questo conflitto, insieme ai cacciabombardieri Skyhawks A4B e A4C, con base a Villa Reynolds, e ai biposto da addestramento Mentor T-34 e B45, utilizzati nei compiti di ricognizione e bombardamento.
Ma il mezzo più grande utilizzato dall’Aeronautica Militare a Tucumán fu l’aereo da trasporto Lockheed C-130 Hercules per mezzo del quale venivano trasportate truppe, equipaggiamenti e armi.
Il fatto più sconcertante è che anche la guerriglia disponeva di unità aeree, una almeno: il mitico "Jilguero" (fringuello), un piccolo Hiller rubato dall'ERP alla empresa de Aguas y Energía, avvistato da terra in più di un'occasione dai militi dell'esercito. Secondo Ricardo Burzaco[9], la presenza di questa unità obbligò il comando della V Brigata di Fanteria a installare un radar di sorveglianza nella zona di combattimento, attivo 24 ore su 24.
Il "Jilguero" stava per provocare un abbattimento durante un volo notturno, quando un UH-1H dell'Aviazione dell'Esercito che stava arrivando alla sua base dopo una missione di ricognizione rilevò le luci del suo pannello degli strumenti. Dopo aver ascoltato il pilota del primo UH-1H che comunicava alla radio l’avvistamento, un secondo elicottero, anch'esso di ritorno dalla montagna, virò e si mise alla ricerca dell'apparecchio "fantasma", ma ricevette un gran numero di proiettili (dal primo UH-1H) che lo costrinsero a interrompere la missione di volo.
Una volta tornati, i membri dell'equipaggio e i tecnici rilevarono le perforazioni nella fusoliera, conseguenza del fuoco del loro compagno, che avrebbero potuto causare una vera tragedia. Lo "Jilguero" non fu mai ritrovato. È possibile che, essendo stato scoperto, l'alto comando sovversivo abbia deciso di allontanarlo dalla zona.
C-130 Hercules TC-62
Nel mese di agosto, lo ERP ricevette un rinforzo insperato, quando nel teatro delle operazioni apparve l'organizzazione dei Montoneros.
Poco dopo la messa in atto dell'Operativo Independencia, l'Aeronautica Militare (Fuerza Aérea Argentina) aveva schierato unità da combattimento per proteggere l'aeroporto "Benjamín Matienzo", missione che sarebbe stata sostenuta da voli di supporto logistico e dal rimpiazzo delle truppe ogni 30 giorni.
Il trasporto delle truppe fu affidato ai C-130 e ai Fokker F-27 Friendship/Troopship della I Brigata Aerea, che dovevano garantire il cambio a un totale di 100 soldati ogni 30 giorni al fine di impegnare il maggior numero possibile di personale ed evitare l'usura dei reparti che combattevano nella zona.
Il 28 agosto 1975, verso mezzogiorno, l'Hercules C-130, matricola TC-62 della Fuerza Aérea Argentina si preparava a decollare da San Miguel de Tucumán diretto a San Juan, trasportando a bordo 114 soldati della Gendarmeria, che avevano appena finito di prestare servizio per un periodo di 45 giorni agli ordini della V Brigata di Fanteria.
Ciò che nessuno immaginava era che già da tempo i Montoneros stavano lavorando all'assemblaggio di un potente ordigno esplosivo in un canale di drenaggio sotterraneo che attraversava la pista dell’aeroporto da un lato all'altro.
I demolitori del gruppo sovversivo avevano iniziato il loro lavoro in marzo e, lavorando giorno e notte, lo avevano terminato in agosto.
Dopo aver esplorato il tunnel e determinato dove passava la pista, i Montoneros vi posizionarono 5 chilogrammi di TNT, 60 chili di Dietamon e 95 chili di Ammonite, il tutto collegato con un circuito elettrico controllato a distanza.
La mattina del 28 agosto tutto era pronto per far esplodere la carica. Avvertiti in anticipo dai loro servizi d’informazione, i Montoneros sapevano che, dopo mezzogiorno, un Hercules dell'Aeronautica Militare avrebbe lasciato l'aeroporto diretto a San Juan, riportando indietro i membri della X Agrupación.
Alle 13:00 l'aereo diede potenza massima alle sue turbine e iniziò a rullare dall'estremità sud del campo. Poco lontano, il gruppo di terroristi osservava la manovra, pronto a far esplodere l'ordigno.
Erano le 13:05 quando avvenne l'esplosione. L'aereo, che in quel momento stava prendendo il volo, stallò e precipitò.
A nulla valsero i tentativi del pilota di mantenere la stabilità. L'aereo si schiantò al suolo e prese fuoco rapidamente, tra forti esplosioni, molto vicino al quartiere popolare che si estendeva oltre il perimetro dell'aeroporto.
Gli orologi segnavano le 13:09 quando l'equipaggio riuscì ad aprire i portelli, e le squadre di soccorso erano già pronte ad evacuare il personale.
I resti dell'Hercules furono sparsi in un raggio di circa 300 metri, mentre la sua struttura prese fuoco ai bordi della pista, liberando una densa colonna di fumo visibile da grande distanza.
L'esplosione dei serbatoi di combustibile e delle armi a bordo rese difficili e rischiosi i soccorsi.
In ogni caso, i militari e il personale aeroportuale, i vigili del fuoco, i gendarmi e anche la gente del quartiere di San Cayetano agirono eroicamente per salvare i feriti, evitando che la tragedia diventasse più grave.
Morirono sei uomini della gendarmeria, altri nove rimasero gravemente feriti e 28 riportarono ferite di varia gravità.
I resti del TC-62 |
L'evento segnò una pietra miliare nella storia dell'Aeronautica Militare argentina perché, per la prima volta, uno dei suoi aerei fu abbattuto in un combattimento.
Da sottolineare l'azione del gendarme Cuello che, uscito illeso dall’aereo, collaborò nelle operazioni di salvataggio, entrando e uscendo più e più volte per salvare numerose vite umane, perendo nell'ultimo tentativo quando il velivolo fu avvolto dalle fiamme.
Militi della Gendarmeria Nazionale estraggono un compagno ferito dalla carlinga dello Hercules TC-62 |
Sette anni prima della guerra delle Malvinas, le FF. AA. argentine stavano dando prova di eroismo e abnegazione in una guerra molto più crudele, che tenne con il fiato sospeso gran parte dell’opinione internazionale.
La morte del sottotenente Berdina
Le azioni come quella descritta danno un’idea dell’entità del conflitto a Tucumán. Sei giorni prima della bomba all’aeroporto "Benjamín Matienzo" di San Luis de Tucumán, vi era stato l’attacco contro il cacciatorpediniere “Santísima Trinidad”, nei cantieri navali del Río Santiago.
In quell'occasione, un commando anfibio dei Montoneros composto da quattro sommozzatori tattici al comando di Máximo Nicoletti, lo stesso che nel 1982 sarebbe stato reclutato dalla Armada (marina militare, ndt) Argentina per realizzare la fallita Operazione Gibilterra[10], fece esplodere una carica esplosiva sotto lo scafo della nave, provocandone il parziale affondamento.
Da quel momento in poi, l'ERP continuò le sue incursioni sotto il comando diretto di Santucho, incoraggiato da quelle azioni su larga scala che, sebbene fossero di beneficio all’ERP, non gli appartenevano poiché erano state progettate e realizzate dai Montoneros.
Tuttavia l’opinione pubblica ne era rimasta scioccata e si temeva un’escalation di violenza senza precedenti in tutto il Paese. A quel punto non vi era più dubbio che l’Argentina fosse immersa in una guerra civile e che le forze sovversive contro cui si combatteva fossero organizzazioni potenti, capaci di organizzare e portare a termine grandi operazioni.
A metà settembre, l'ERP organizzò una nuova compagnia, per compensare le perdite subite durante tutto l'anno. E in questo senso allestì un accampamento nella Quebrada de Artaza, una zona di difficile accesso in mezzo alle montagne, da cui prevedeva di lanciare nuovi attacchi. Nonostante ciò, l’intelligence individuò il luogo, al che la FT “Aconquija” mobilitò un totale di 120 soldati, che mossero verso quel settore con l’aiuto di guide civili, che furono molto utili durante il conflitto.
Lungo il corso dei fiumi Cerda e Tortorilla, si verificarono scontri a Laureles Norte, Arroyo Machado, Santa Lucía e Tres Almacenes dove i guerriglieri registrarono quasi venti perdite, nonostante l’impiego della loro nuova tattica di incendiare i campi di canne per ostacolare l'avanzata delle forze regolari.
L'esercito infine raggiunse il campo della Quebrada de Artaza, conosciuto anche come Chupadero de Aguas Hediondas, il che significò un duro colpo per la sovversione. Nella loro avanzata, i militari trovarono il corpo martoriato di un guerrigliero che si era imbattuto in una loro stessa trappola esplosiva (dei terroristi, nd) e altri segni indicanti che il nemico aveva subito gravi perdite.
Il 31 agosto, si svolse l'azione di Las Carboneras, dove un camion Unimog della FT “Aconquija” cadde in un'imboscata e vi furono alcuni feriti, tra i quali il sergente maggiore in carica, ma nessun caduto.
Cinque giorni dopo, due sezioni della Compagnia B della stessa Task Force tornarono alle loro basi, lasciandosi alle spalle la zona montuosa. Dovevano percorrere tre chilometri a piedi fino a Potrero Negro, dove unità motorizzate li aspettavano per raccoglierli.
Adottando le misure precauzionali appropriate, il capo della 2a Sezione, sottotenente Rodolfo Hernán Berdina, fece avanzare una pattuglia in avanscoperta, con la quale prevedeva di mantenere i contatti radio tramite le staffette.
La pattuglia d'avanguardia si imbatté improvvisamente in un avamposto nemico, generando un intenso combattimento. Udendo gli spari, Berdina ordinò l'avanzata e corse attraverso la boscaglia, sfidando apertamente il pericolo. Un proiettile da 9 mm lo colpì in pieno petto, e il soldato Ismael Maldonado, che correva dietro di lui. Il suo secondo, nel frattempo, aveva ordinato di battere la zona con il fuoco di mitragliatrice, mentre alcune jeep che aspettavano le truppe a Potrero Negro si avvicinavano temerariamente per fornire copertura alle truppe.
Maldonado morì immediatamente, ma non Berdina, che fu evacuato dal campo di battaglia gravemente ferito. Morì nell'elicottero mentre veniva trasferito a San Miguel de Tucumán.
Attacco al 29⁰ Reggimento di Fanteria da Montagna
Visto l'incremento dell’azione, nel mese di settembre il generale Vilas decise di rinforzare le sue truppe con due nuove task force allo scopo di aumentare la pressione sul nemico che, nonostante l'entità delle ultime azioni, cominciava a mostrare qualche indebolimento.
Il 23 dello stesso mese, gli agenti di polizia uccisero tre estremisti a Los Laureles. Il giorno successivo, in un nuovo scontro a Yacuchina, morì un quarto sovversivo. Una settimana dopo, forze lealiste e guerrigliere si scontrarono all'incrocio delle strade 333 e 38 e quasi contemporaneamente ebbe luogo un secondo scontro nel Río Colorado, con un totale di cinque morti in entrambi gli scontri.
L'azione più sanguinosa del mese di ottobre ebbe luogo nei pressi di Tucumán, quando l'organizzazione dei Montoneros assestò un nuovo e spettacolare colpo al 29° Reggimento di Fanteria di Montagna con sede a Formosa, forse l'operazione armata meglio pianificata del conflitto.
A Buenos Aires, lo stato maggiore dei Montoneros, guidato da Mario Eduardo Firmenich e Fernando Vaca Narvaja, pianificò attentamente l'operazione, reclutando per realizzarla 200 dei suoi combattenti più determinati, 70 dei quali sarebbero stati coinvolti in azioni dirette.
Il leader palestinese Yasser Arafat fra i leader dei Montoneros Mario Eduardo Firmenich e Fernando Vaca Narvaja |
Alle 15,15 del 5 ottobre, un Boeing 737-200, registrazione LV-JNE, delle Aerolíneas Argentinas diretto a Córdoba decollò dall'Aeroparque Metropolitano di Buenos Aires. Tra i passeggeri viaggiava un gruppo di Montoneros, pronti a dirottare l'aereo e portarlo nella provincia di Formosa. Il piano era di atterrare all'aeroporto provinciale per evacuare i combattenti una volta terminata l'operazione.
Una volta in volo, i terroristi sull’aereo di linea diedero inizio all'operazione lasciando i loro posti e brandendo le armi. E gridando istruzioni, irruppero nella cabina di pilotaggio per ordinare al pilota di dirottare verso la suddetta provincia. Contemporaneamente, un altro gruppo sovversivo fece irruzione nell'Aero Club Chaco e sequestrò il Cessna 182D, registrato LV-HOT, mentre un terzo fece la stessa cosa con un aereo del governatorato di Formosa.
In quel mentre, fu attaccata anche un'autopattuglia che avrebbe dovuto fornire la copertura per l'arrivo dell'ispettore provinciale. Uno degli agenti morì mentre l'ufficiale in comando e un collega rimasero gravemente feriti.
La torre di controllo dell’aeroporto era caduta nelle mani dei Montoneros che vi installarono una mitragliatrice pesante, con la quale progettavano di coprire l'arrivo del Boeing.
Nel vicino quartier generale del RIM 29, intanto, si ignorava cosa stesse accadendo. Il personale che era andato in libera uscita si stava godendo una piacevole domenica pomeriggio, dedicandosi a varie attività. E non si era, ovviamente, al corrente del fatto che un soldato traditore, Luis Roberto Mayol, che svolgeva il servizio militare nell'unità, aspettava solo il momento opportuno per aprire i cancelli alla guerriglia.
Il Boeing dirottato atterrò intorno alle 17, coperto dalla mitragliatrice sulla torre di controllo e da altre posizioni nelle quali i Montoneros avevano piazzato le loro truppe. Una volta a terra, i passeggeri furono obbligati a scendere e a radunarsi nell'edificio principale, sotto sorveglianza armata, mentre i piloti furono costretti a rifornire di carburante l’aeromobile e ad approntarla per un un decollo di emergenza.
Con l'aeroporto in suo possesso, la colonna dei Montoneros partì, con il percorso ormai completamente sgombrato dalle sue squadre di supporto; e quando la colonna apparve davanti alla caserma, il soldato Mayol si avvicinò al cancello n. 2 e immobilizzò la sua guardia dopodiché, spalancò i cancelli e permise l'accesso agli aggressori.
La battaglia che ebbe luogo fu davvero violenta e i soldati di leva opposero una resistenza inaspettata.
I terroristi attaccarono con granate il Casinò dei Sottufficiali, uccidendo un soldato e ferendone altri tre. Subito dopo, tentarono di impossessarsi dell'edificio degli Ufficiali e della mitragliatrice pesante posizionata nella Plaza de Armas; ma allertati dalle esplosioni, gli agenti che in quel momento stavano riposando, saltarono giù dalle loro cuccette e si portarono all'esterno, sparando contro gli assalitori che lottavano per entrare nell'arsenale.
Il sottotenente Ricardo Massaferro e un assistente militare che lavorava negli uffici della compagnia “A” morirono dopo esser stati colpiti dalle schegge di una granata, mentre diversi soldati di leva che erano con loro riportarono lievi ferite.
La battaglia si fece particolarmente dura nella Compagnia di Servizi, che i sovversivi attaccarono anche con granate. Tuttavia, nonostante un coscritto fu ucciso e altri sette feriti, i soldati di leva opposero una forte resistenza e costrinsero il gruppo attaccante a ritirarsi.
Quando i guerriglieri tentarono di impadronirsi dell’armeria adiacente alla Compagnia “A”, la battaglia aveva già raggiunto proporzioni dantesche. Nel lontano posto di guardia giaceva morto il primo sergente Víctor Sanabria. Durante lo scontro, Mayol, il traditore che aveva facilitato l'accesso ai terroristi, fu ucciso dal sottotenente Cáceres, un ufficiale di servizio che aveva assunto la difesa del settore e aveva appena visto morire cinque coscritti quando una granata era esplosa dove dormivano. Cáceres riuscì a ritirarsi con diversi soldati, uccidendo lungo la strada due terroristi.
A quel punto, le forze dell'ordine avevano messo fuori uso cinque dei sei veicoli entrati nella caserma, uccidendo diversi guerriglieri, ma non senza pagare un alto prezzo in vite umane.
Comprendendo che la situazione era insostenibile, i Montoneros abbandonarono l'obiettivo, alcuni a bordo dei cellulari ancora funzionanti e altri correndo, mentre venivano bersagliati dai difensori del reggimento. Portavano con sé, come “bottino”, 50 fucili FAL e un FAP (Fusil Automático Pesado), un risultato abbastanza magro per un tentativo così spettacolare.
Giunti all'aeroporto, i sovversivi salirono sugli aerei e fuggirono in tutta fretta, fingendo di volare in direzione di Misiones per virare, poco dopo, verso sud. Il Boeing atterrò alle 18,30 in una radura vicino ad Angélica, cittadina vicino a Rafaela, precedentemente segnalata da elementi lì di stanza, e il Cessna, in una piantagione di riso vicino a Nueva Valencia, nella provincia di Corrientes.
[2] Eusebio González Bread, La guerrilla en Tucumán, Buenos Aires, Círculo Militar, 2001, p. 86.
[3] Durante questo attacco sarebbe stato rapito il maggiore Argentino del Valle Larrabure e sottratti più di 100 fucili FAL, 2 FAP, 10 MAG e settanta pistole di vario calibro.
[4] Ricardo Burzaco, Infierno en el monte tucumano. Argentina 1973-1976, RE Editores, Buenos Aires, 1994, p. 55.
[5] Observaciones. Las heridas de la hija de 5 años no hallan explicación, salió de rebote en los disparos de gracia. Las de la menor, son las del primer escopetazo que se disparó, desviadas al atravesar la chapa” (Trad.: Osservazioni. Le ferite riportate dalla figlia di 5 anni non possono essere spiegate: sono state causate dal rimbalzo dei colpi d'arma da fuoco. Il primo colpo sparato fu quello della (figlia) minore, che deviò dalla traiettoria quando attraversò la lamiera."(Trascrizione di un documento sequestrato alla banda dell’ERP, relativo all’assassinio del capitano Viola e di sua figlia). Allegato 20. 1 dicembre 1974. Eusebio González Bread, Op. Cit, p. 171.
[6] Ricardo Burzaco, Op. Cit., pp. 57-58.
[7] Idem, p. 104.
[8] Le missioni venivano svolte di notte, a 5.000 piedi sopra il livello del mare, per poi scendere a 1.500, quota alla quale venivano attivati i sensori a infrarossi per rilevare gli accampamenti e le basi nemiche. I rilevamenti venivano poi stampati su carta per un successivo studio.
[9] Ricardo Burzaco, Op. Cit., p. 99.
[10] Nel 1982, durante la guerra del Sud Atlantico (Guerra delle Malvine), un commando della Marina argentina composto da un ufficiale di marina e tre ex militanti montonero guidati da Máximo Nicoletti, precedentemente detenuti nell'ESMA per le loro azioni sovversive, si trasferì ad Algeciras con la missione di effettuare operazioni di sabotaggio a Gibilterra. La polizia spagnola sventò la missione quando i sommozzatori tattici, che in quei giorni stavano effettuando prove e manovre nelle acque dello stretto, si preparavano ad affondare una nave della marina britannica.
Comments
Post a Comment